Due euro a litro

Con la benzina a due euro al litro una domanda viene spontanea.
Come mai l’industria automobilistica non ha diffuso già da anni veicoli con motore elettrico?
Siamo arrivati comodamente su Marte, abbiamo una tecnologia che ci fa muovere senza traumi in mondi virtuali, la ricerca di fonti energetiche alternative è costante. Eppure, a parte qualche auto “ibrida” a costi non proprio accessibili, il modello elettrico non decolla.
Perché?
Le motivazioni ufficiali sono di carattere tecnico. Da un lato la mancanza di punti di rifornimento lungo le strade nei quali attaccare la spina, dall’altro i tempi di ricarica (una Chevrolet Volt richiede 10 ore per garantire il massimo delle sue potenzialità da 120 volt, una Nissan Leaf ne vuole circa 20). E poi la durata delle batterie e i dubbi ecologici sull’inquinamento delle centrali elettriche che dovrebbero produrre più energia per soddisfare le esigenze degli automobilisti.
In realtà si intuisce una rigidità dell’industria tradizionale nei confronti di questo genere di innovazione: l’auto a benzina (o a gasolio) continua a essere il mezzo preferito dalle multinazionali perché garantisce introiti immensi con un prodotto antico come il petrolio.
Non mi meraviglierei se ci fossero importanti brevetti acquistati proprio per non essere convertiti in progetti. Frenare lo sviluppo sostenibile è da criminali.

Chi rompe i forconi

Ne ho già scritto qua, ma voglio ribadire.
Dai tassisti di Roma ai forconi di Palermo è in atto qualcosa che superficialmente potrebbe essere identificata come una prova di forza, ma che in realtà è una testimonianza di debolezza dello Stato.
Il momento difficile non autorizza nessuno a scatenare rivolte che hanno soltanto brutti effetti collaterali. Passare all’incasso di un diritto con un’arma in pugno equivale a calpestarlo, quel diritto. Anche perché coi sacrifici che si vedono all’orizzonte, qualcuno potrebbe decidere che il modo migliore di evitarli è di imporli agli altri. E questo è un ragionamento che porta dritti alla guerra civile.
Quindi tollerare istituzionalmente manifestazioni come quelle che stanno paralizzando la Sicilia è quantomeno un atto di imprudenza, al netto delle responsabilità personali.