L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
Il caso delle assunzioni all’Ast è la sintesi migliore (migliore si fa per dire) del sistema fallimentare del lavoro pubblico in Sicilia. Perché ha in sé tutti gli elementi che contribuiscono al peggiore dei risultati: la raccomandazione come regola, il merito come eccezione, il clientelismo dilagante, il malcostume come stile di vita. Con una pervicacia rara, in netto contrasto con la provvisorietà che caratterizza ogni visione strategica di gran parte dei nostri governanti, la politica continua a gestire sfacciatamente il mondo del lavoro fregandosene dei tempi che cambiano e, diciamolo, della buona creanza. Inoltre per soddisfare le richieste di questo o di quel presidente, di questo o di quell’onorevole, il carrozzone dell’Ast veniva affollato di raccomandati facendo più assunzioni del dovuto. E questo nella terra della disoccupazione endemica, dei cervelli in fuga, della disparità sociale imposta dalla mafia, suona come un delitto contro l’etica. Un doppio danno: perché se da un lato si mettevano dentro persone che non servivano a nulla e che non avevano nessun diritto di star lì, dall’altro si tagliavano automaticamente le gambe a chi aveva i titoli, la capacità.
La protervia con la quale il Palazzo si blinda ai problemi del mondo rasenta il feticismo: il potere come oggetto di culto, come arma per il genocidio del merito. L’esercizio della promessa, soprattutto in periodi elettorali, è qualcosa che assomiglia più alla pesca a strascico che alla semina. E quel “papello” con la lunga lista di persone da assumere è il totem del fallimento di un sistema politico inadeguato e persino pericoloso.
Non è storia nuova, lo sappiamo. Non è storia finita, lo temiamo.