Il motivo di questo post ve lo svelo alla fine. Quindi per arrivarci dovete leggervelo tutto.
E NON BARATE.
Nel dicembre del 2006, esattamente 15 anni fa, credevo che la mia vita fosse un solo lungo binario con un solo treno, che va in una sola direzione. Ero attratto più dalle cose che dalle loro prospettive e me la raffiguravo così: mi interessano i corpi, non le loro ombre. In tal modo facevo un errore molto ingenuo (e credo molto diffuso) che è quello di curare il qui e adesso (il qui e adesso di allora, intendo) e sbagliavo nel diluire il resto in una miscela di fatalismo e ottimismo. Laddove l’ottimismo era spesso l’oppio di una saggia decisione e il fatalismo il suo specchio deformante.
Allora avevo scritto un paio di libri e, grazie a una fortunata traduzione, ci avevo ricavato pure qualche soldino (con allegata prospettiva economico-lavorativa). Inoltre vivevo alla giornata, dentro e fuori casa, dentro e fuori l’ambiente di lavoro.
Ero più magro, avevo più capelli, fumavo due pacchetti di Pall Mall al giorno e correvo la mezza maratona in un’ora e 37 minuti. Per dirla in altro modo credevo che la caleidoscopica varietà di forme sociali fosse affidata al caso. Della serie, antropologia questa sconosciuta. Poi non mi sono certo messo a studiare (lo studio tipo “pronti-via” mi atterrisce più di una promessa di Salvini) , ma mi sono evoluto quasi inconsciamente in un campo per me fino ad allora vergine: quello delle possibilità umane. Nello specifico, possibilità umane applicate a me medesimo.
È così che ho imparato (e ve ne ho parlato spesso) a sbagliare da solo, a saper tornare indietro, a cercare di recensire tutto il casino che mi trovavo per le mani, la maggior parte delle volte per colpa mia. E ho rimescolato un bel po’ di cose: sul fronte affettivo, su quello lavorativo, nel campo degli interessi della cosiddetta cultura generale, nella musica, nella scrittura, persino nel tipo di vino da bere.
Di sicuro non sono diventato migliore. Però sono diventato. Cioè mi sono evoluto, sono cambiato. Non è vero che le cose cambiano da sole, o meglio se cambiano da sole è come confidare in una buona bottiglia di vino (scusate se torna sempre questo tema, ma è uno dei più alti e genuini che mi vengono in mente) abbandonata su un ripiano della dispensa in attesa di tempi migliori o perlomeno adeguati (su questo tema dei tempi per bere un vino rimando a un’apposita riflessione in futuro). In verità quella bottiglia, se le dai una posizione orizzontale, se le assicuri una temperatura costante, insomma se le dai un po’ di cura, cambierà sì, ma tu avrai la coscienza a posto di uno che pur, arrendendosi all’inarrestabile dittatura del cambiamento, non si rassegna a mettere il suo stuzzicadenti per puntellare il traballante mobile del futuro.
Funziona così nel mondo che ci ostiniamo a difendere dai negazionisti delle emozioni. Siamo deboli e incerti, faciloni e ingenui, crediamo di avere la situazione in pugno senza avere la decenza di misurare il nostro pugno prima della situazione. Siamo macchine programmate per vincere sul terreno dell’avidità, della presunzione, della saccenza, ma abbiamo pochissime speranze sul fronte dell’umanità.
Quest’anno è stato molto complicato per il sottoscritto, non più di quello precedente però. Ma il settore “cazzi miei” ha qui un limite imposto dalla decenza.
Ecco, in quest’anno e in quelli precedenti spero di avervi dato almeno uno spunto utile, uno solo, di riflessione. Spero di essere riuscito a scambiare almeno una volta i panni con voi, perché in un blog è importante l’abbigliamento: si entra in un modo, ma se ne esce magari con un maglione altrui. È il book-crossing delle idee, il vero antidoto al veleno dei social. Argomentare, far sedimentare, reagire (magari incazzandosi e non tornando più).
Insomma tutto questo pippone per dirvi che questo blog compie 15 anni e che nel web non è proprio un’età da trascurare, a fronte di migliaia di blog morti in culla e ibernati per decenni, oppure tenuti crudelmente in vita solo per truccare l’audience.
Festeggiando il compleanno di questa capanna virtuale vi invito a pensare cosa eravate 15 anni fa. Dove eravate e dove pensavate di arrivare. Se ci siete arrivati o no, non è importante. Quello che conta è che abbiate imparato la lezione: saper sbagliare da soli è un buon modo per sopravvivere, a patto che l’errore sia sempre al suo posto e il sapere dal lato opposto.
Un commento su “15 anni di errori”