Sappiamo pochissimo dell’altro. E quel poco che sappiamo spesso ci terrorizza o peggio ci annoia. Invece è come col berlusconismo. Berlusconi è stato egemone per vent’anni perché ha saputo identificarsi coi disvalori di una società. La capacità di riconoscersi è alla base del rapporto con l’altro, che sia persona, entità, barlume di idea (ho esperienza di idee che sono corporee più degli esseri umani e non meno pericolose). Restando a Berlusconi, è stato l’unico leader politico a saper plasmare un elettorato a sua immagine e somiglianza. L’idea del miracolo italiano, se ci pensate, era tutta una promessa mai mantenuta, una vela mai dispiegata. Eppure milioni di italiani ci hanno creduto come non hanno mai creduto ad altri (Craxi lo fischiarono e lo colpirono con le monetine, Mussolini finì come finì, eccetera). Perché Berlusconi conoscendo benissimo l’altro, sapeva come ingannarlo, forgiarlo secondo il proprio comodo, illuderlo con ostentata grazia.
Oggi, grazie ai disastri della cretinocrazia, conosciamo il dna dell’altro che ci conviene. O meglio ne intuiamo il calo delle difese immunitarie, le crisi, gli imbarazzi e soprattutto i vizi. Sappiamo che l’altro può essere ingannato non già con fandonie ben congegnate, che risalgono all’era pre-social, ma con scemenze pacchiane, con l’alfabeto dei rutti, con il colpo mortale di “mi ha detto mio cuggino”.
È questo il vero punto di svolta.
Oggi l’altro non è un trampolino dal quale spiccare il volo verso nuove sapienze e nuove esperienze, ma un mezzo di locomozione per le idee più balzane, per il sottosopra che vuol insegnarci a camminare sulla punta del naso come se fosse giusto ed elegante, per un autolesionismo latente che non sa cosa è, cosa vuole, ma solo cosa distruggere. Oggi siamo sotto tiro di un mitra che uccide al contempo la vittima e il cecchino.