L’articolo di oggi su Repubblica Palermo.
Il primo passo Gianfranco Miccichè l’ha fatto appena insediato Ars, nella sala di Palazzo dei normanni intitolata a Piersanti Mattarella: ha invitato gli imputati nel processo sulla trattativa Stato-mafia Mario Mori e Giuseppe De Donno, e li ha celebrati come eroi e testimoni di ingiustizia. Senza neanche darsi la pena di sfogliare il solito bignamino di post-garantismo, che dal sommo padre Berlusconi all’indomito alfiere Sgarbi punta all’assoluzione preventiva di amici e compagni di partito, Miccichè ha lanciato una nuova linea di lotta civile alla criminalità organizzata, l’antimafia prêt-à-porter. Basta col repertorio classico di Leoluca Orlando, lord di Grande inverno (un tempo era primavera, ma le stagioni cambiano) nel Game of Thrones di Sicilia, signore dell’antimafia di maglio e spada e unico detentore delle chiavi di un Valhalla nel quale riposano ex compagni d’armi come Pippo Russo e Carmine Mancuso (perché con le stagioni cambiano anche le fioriture di militanza). Oggi il sospetto si è scocciato di fare anticamera per la verità e, nell’Isola di un centrodestra che rinasce non dalle ceneri ma dalla cipria, ha scelto l’eremitaggio in qualche aula semideserta del Palazzo di giustizia dove si celebrano processi di cui tutti parlano e che pochissimi seguono.
L’antimafia prêt-à-porter di Gianfranco Miccichè è un vestito comodo e a buon mercato. Dell’Utri? Vittima di “un’inaudita cattiveria” da parte di “qualcuno che si arroga il diritto di essere dio”. E se anche fosse dio magari ci si potrebbe parlare. La commissione antimafia regionale? “Va cambiata visto che la vera lotta alla mafia non la fa il parlamento: noi non possiamo dare patenti alle persone”. Al limite restituirle, come vorrebbe fare con Dell’Utri. La pulsione per i cambiamenti radicali, Miccichè l’ha sempre assecondata sin da quando – è storia nota e quasi ammantata di leggenda – con fantasia luciferina propose di intitolare l’aeroporto di Palermo ad Archimede invece della solita noiosa litania di morti: Falcone, Borsellino… Desistette solo quando gli dissero che anche Archimede aveva tirato le cuoia, che l’unica alternativa era il Pitagorico amico di Paperino e che i fumetti, al limite, ispirano parchi giochi e non aeroporti. Su una cosa però è sempre stato categorico, di una fermezza granitica: i soldi. I suoi non si toccano manco se l’aeroporto lo intestano a lui e la commissione antimafia a Dell’Utri (o viceversa). La macchina politico-amministrativa che si muove sul red carpet dell’antimafia prêt-à-porter ha i suoi costi e il suo patron deve difenderne il valore. Economico, of course. Ecco così dettato il principio cardine del manifesto della Nuova Restaurazione Siciliana: “Il mondo ha dichiarato da tempo il fallimento del marxismo: stipendi tutti uguali non ce ne possono essere, chi merita di più deve guadagnare di più”. Ad esempio lui e i dipendenti di quell’Assemblea regionale, dove un commesso arriva a guadagnare più di 3.700 euro al mese con 16 mensilità, contro le 1.500 di un collega della regione Lombardia con 13 mensilità. Insomma più che fallire, il marxismo qui rischia la bancarotta.
Capite bene che, con questi chiari di luna, l’antimafia non rende più in termini elettorali. Lo ha sperimentato sulla sua pelle Rosario Crocetta, penultimo governatore del Regno delle due Sicilie, non quelle che stanno sopra e sotto lo Stretto ma quelle dentro e fuori i confini della buona creanza: l’ex sindaco di Gela ha brevettato un’antimafia cinematografica con artisti travestiti da pensatori, pensatori travestiti scienziati, scienziati travestiti da artisti, stelle e stelline tutt’intorno. E ora si ritrova fuori dai giochi, escluso dalle liste di un Pd atomizzato come un deodorante ascellare. Stesso destino per il suo “regista” preferito, Giuseppe Lumia, navigato professionista dei professionisti antimafiosi che dopo sei legislature dovrà far ristampare i biglietti da visita. Magari potrà chiedere consiglio ad Antonio Ingroia, che di biglietti da visita se ne intende in quanto ex magistrato, ex candidato a premier, ex formatore di pattuglie anti-narcos, ex leader di Rivoluzione Civile, ex presidente di Riscossione Sicilia, ex commissario della Provincia di Trapani, ex amministratore unico di Sicilia Digitale, e via rimpiangendo. La sua antimafia donchisciottesca lo rende sensibile a ogni missione impossibile. Per le prossime elezioni ha lanciato la Lista del popolo per la Costituzione che ha come obiettivo “passare dalla fase della resistenza a quella della riscossa costituzionale”, sorvolando sul fatto che la fase uno con Rivoluzione Civile ebbe un successo pressoché condominiale.
Questo e molto altro accade nella Sicilia dove l’unico ex governatore condannato e incarcerato per concorso esterno in associazione mafiosa, Totò Cuffaro, oggi riempie i teatri in cui presenta libri, consiglia politici pur senza poter far politica e riscuote ammirazione perché la galera se l’è fatta tutta quasi che ci si aspettasse una fuga coi lenzuoli annodati.
Che smacco per la squadretta antimafia.