“La candidatura è sostenuta da un progetto originale, di elevato valore culturale, di grande respiro umanitario, fortemente e generosamente orientato all’inclusione alla formazione permanente, alla creazione di capacità e di cittadinanza, senza trascurare la valorizzazione del patrimonio e delle produzioni artistiche contemporanee”.
Uno stralcio della motivazione della nomina di Palermo a Capitale italiana della cultura per il 2018 basterebbe da solo a spegnere il chiacchiericcio insulso di chi parla di munnizza, traffico, trame, favoritismi e quotazioni immotivate. Insomma leggere prima di scrivere.
Progetto. Inclusione. Respiro umanitario. Queste sono le parole chiave. Che hanno portato la commissione a scegliere all’unanimità Palermo, come ha spiegato oggi Franceschini: roba che ci dovrebbe essere da festeggiare tutti insieme. E invece…
Progetto. Inclusione. Respiro umanitario. Non c’entra nulla tutto il resto. Come sa chi conosce il mondo senza occhieggiarlo da Facebook, la cultura è anche (e soprattutto) negli angoli del mondo, nelle lande controverse, nei luoghi del contrasto, nelle città delle contraddizioni. Qualunque occhio che sfugge alla banalità e che non risponde a perversi pregiudizi politici può ammirare il miracolo di un fiore che sboccia tra i rifiuti.
Sono un cassettista compulsivo, ritaglio e conservo, leggo e archivio, quindi ricordo che una decina d’anni fa Orhan Pamuk sul “Corriere della sera” scrisse sulla politicizzazione dell’arte: “La letteratura non è giudizio morale bensì identificazione con un personaggio, col suo modo di essere (generoso o malvagio), con la sua fede, la sua passione, la sua violenza o il suo delirio. La letteratura non giudica né dà voti di condotta alla vita, che scorre al di là o al di qua del bene e del male; se rappresenta una rosa, sa — come diceva un gesuita e grande poeta mistico tedesco del Seicento, Angelus Silesius — che la rosa non ha perché e fiorisce perché fiorisce. Mettersi al servizio di una causa distrugge la bellezza della letteratura”.
Questa citazione ci ricorda che l’arte e gli artisti hanno un “cuore freddo” che scalda i nostri cuori e che nulla ha a che fare con l’ambiente. Scrive Claudio Magris (e non io): “Molti fra i più grandi scrittori del Novecento sono stati fascisti, nazisti, comunisti adoratori di Stalin; continuiamo ad amarli, a capire il tortuoso e spesso doloroso itinerario che li ha portati a identificarsi con la malattia scambiandola per una medicina e a imparare da essi pure una profonda umanità che la loro aberrazione ideologica non è riuscita a soffocare, ma di politica essi capivano certo meno di milioni di loro sconosciuti contemporanei”. Perdonatemi lo slancio letterario, ma serve per capire il necessario e ontologico distacco tra arte e cronaca.
Palermo Capitale della cultura non è un luogo in cui dibattere della liceità del titolo giacché questo è stato assegnato da chi ha certamente più voce in capitolo di noi miseri commentatori, a meno che non si decida che l’ultimo troll di Facebook ha diritto di voto su ciò che manco conosce. In tutte le altre città che si sono fregiate del titolo non c’è mai stata polemica, forse perché la base culturale è tale da riconoscere i limiti di una discussione decente.
Ecco perché in tema di stupidità sono e sempre sarò un antidemocratico: la munnizza e le altre piaghe di Palermo non c’entrano un cazzo con la cultura che Palermo, a dispetto di molti, celebrerà quest’anno. E siccome voglio festeggiare, non tollererò che nessuno mi guasti la festa. Tutto qui.
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