Quando nel 2001 Forza Italia si prese la Sicilia – ci pensavo ieri guardando la mia scheda elettorale – io ero ancora al Giornale di Sicilia. E fu proprio in quell’anno che iniziò il mio lento divorzio, prima sentimentale poi materiale, dal quotidiano di Palermo.
Con lo strapotere del Centrodestra – Cuffaro alla Regione e Cammarata al Comune – l’Isola si consolidò come vero terreno di conquista e il giornale divenne l’organo ufficiale di una parte politica che non faceva mistero di certe sue propensioni per la pacchianeria: famoso il coro “chi non salta comunista è” sulle macerie del 61 a zero.
Nei miei vent’anni al giornale ho sempre tenuto un’agenda aggiornata: se mi chiedete che accadeva e cosa facevo quel dato giorno di quel dato anno, io sfoglio e rispondo.
È così che dai miei appunti viene fuori un episodio datato 26 novembre 2001. Diego Cammarata è stato appena incoronato sindaco di Palermo (con 56 per cento dei voti) dopo aver stracciato il candidato dell’Ulivo Francesco Crescimanno (che si ferma al 23). Nella consueta riunione telefonica al Gds, il condirettore Giovanni Pepi gela tutti chiedendo conto e ragione in modo molto veemente di un articoletto di taglio basso, 20 righe scarse, in cui si dà voce al dissenso di Orlando. Pepi vuole conto e ragione di quelle maledettissime righe, manco fosse un fondo in prima.
La responsabilità se la prende Francesco Foresta, che tutto è fuorché amico di Orlando. Ne viene fuori un durissimo scontro verbale (sempre per telefono) che lascia il segno su Francesco e che minerà alla base i rapporti tra alcuni di noi (in realtà io e lui) e il condirettore. È il primo atto di un inarrestabile cambiamento della linea del giornale, completamente sdraiata sulle posizioni del Centrodestra.
In via Lincoln la vita per noi cambia, diventa impossibile: strigliate quotidiane per una tacca, cazziate per foto piazzate in pagina senza che siano state scelte tra quelle scattate dal condirettore stesso, un controllo ossessivo su ogni riga di politica o di giudiziaria (perché spesso le due cose convivono), il morboso richiamo a un fantoccio di informazione che vorrebbe essere equilibrata, ma è solo e scarsamente equilibrista.
E poi il commissariamento con la nomina di altri tre vice-capiredattori “di fiducia” che limitano in modo plateale il nostro ruolo: guardiani nelle grazie della direzione. Quando nel febbraio del 2007 mi accorgo di non essere più in grado di cambiare una breve senza chiedere il permesso, mi alzo e me ne vado per non tornare mai più. Con me, ovviamente, c’è Francesco che dà le dimissioni il mio stesso giorno, un anno più tardi.
Oggi molte cose sono cambiate: Francesco non si è potuto godere a lungo l’amata libertà, Pepi non è più condirettore del Gds, il giornale sta cercando di riprendere quota con altre ali e altre idee, il Centrodestra non comanda più.
Questo pensavo ieri guardando la mia scheda elettorale.