La Rai e il pizzo

Pago il canone Rai. Non siamo in molti.
Seguo i Mondiali di calcio. Siamo in molti.
Domandina semplice semplice: perché devo avere dalla tv di Stato un servizio inefficiente che si è obbligati a pagare (basta avere un televisore), e invidiare chi ha un servizio perfetto da parte di una tv privata e magari non paga un bel niente alla Rai?
Il succo è questo: oggi io non conto nulla nelle scelte del palinsesto della Rai, di cui pure sono cliente con quel che ne consegue, ma se verso qualche centinaio di euro in più posso avere sul mio televisore tutto quello che vorrei e che non ho. Se ci pensate bene è il principio del pizzo: la normale sorveglianza costa quanto costano le tasse (le forze dell’ordine sono nel bilancio dello Stato), se vuoi di più devi sganciare.
Ora, non mi sogno di accostare Sky a un mercato illegale di servizi, però credo che questa Rai, inefficiente e clientelare, vada messa sul mercato. In modo che io possa scegliere tra le varie offerte senza dover essere obbligato a pagare un servizio scadente.
Insomma – tanto per fare un esempio – a me e a molti altri non ce ne frega niente di avere ogni pomeriggio Monica Setta che ostenta il suo banale davanzale a tot migliaio di euro a puntata, a noi interessa che la Rai (che paghiamo in anticipo e in moneta sonante) sia presente degnamente nei due o tre fondamentali appuntamenti di cronaca annuali.
E i Mondiali di calcio fino a prova contraria sono un evento di una certa importanza.

Sviste mondiali

Suocerando

di Abbattiamo i termosifoni

Durante Italia-Nuova Zelanda, una telecamera Rai inquadra un uomo con una testa fitta di capelli bianchi, un paio d’occhiali, un mezzobusto vestito di color porpora.
Mia suocera chiede: “Ma che ci fa il papa allo stadio?”.
Era Marcello Lippi.

Fenomenologia di Marcello Lippi

Fenomenologia di Marcello Lippi. Si mostra soddisfatto quando c’è da essere allarmati (pur non essendo allarmisti). Mastica rabbia perché il popolo non condivide, con un’unica ola da Aosta a Pachino, le sue scelte. Rimanda perennemente a una resa dei conti coi suoi detrattori dimenticando che lui è solo un allenatore di calcio e non un presidente del consiglio. Preferisce mettere in squadra i soliti noti piuttosto che dare spazio ai nuovi fuoriclasse. Ostenta il suo appeal di antipatico come se fosse una rockstar. Non è ancora cosciente della fortuna che, quattro anni fa, lo ha portato a vincere il Mondiale.
Si crede l’unico mister della nazionale di calcio in un Paese che ne conta più o meno sessanta milioni.

Cammarata mondiale

Pare che l’evanescente sindaco di Palermo sia in Sudafrica per assistere alle partite dei Mondiali. A nessuno si nega una vacanza, né la possibilità di uno svago. Ma Cammarata è ormai il catalizzatore delle pochezze di Palermo. Svogliato, superficiale, inefficiente, questo sindaco è l’immagine riflessa di una città che galleggia davanti a un orizzonte di eutanasia civile e che non ha la forza, o il coraggio, di buttare via l’ultimo respiro e calarsi giù, a fondo.
Diego Cammarata può ovviamente andare in Sudafrica, come alle Maldive o chissà dove senza che nessuno gli chieda conto e ragione. Il problema è che poi ritorna, allungando l’agonia di una città che rischia di estinguersi prima di lui. E questo non è bello.

I mondiali della Juventus

L’Italia è l’unico paese al mondo con sessanta milioni di allenatori della nazionale di calcio che si sentono titolati e irripetibili a dispetto dell’evidenza: l’unico sono io.

La vecchia battuta di padre ignoto non deve trarre in inganno.
E’ vero che ci sentiamo tutti mister, ma è anche vero che ci sono mister che dovrebbero calarsi nei nostri panni di tecnici improvvisati e capirci quando ci sentiamo spaesati.
Il caso di Marcello Lippi è emblematico.
Capisco il carattere e la schiena dritta, ma un allenatore che imbottisce il contingente mondiale con  una maggioranza di giocatori presi da una squadra decotta come la Juventus, qualche spiegazione al suo pubblico la dovrebbe.
Invece niente.
Messa da parte la foga rosanero, anche se Sirigu e Cassani sono tra i convocati (assordante l’assenza di Fabrizio Miccoli), resta il dubbio espresso qualche giorno fa da Paolo Villaggio: non sarà che con la missione sudafricana si cerca di drogare il valore di giocatori (e di club) le cui azioni sono in picchiata?
Prendiamo un appunto e parliamone a Mondiali terminati. Sarò felice di essere smentito.

Una colletta per Renzo Bossi

La dichiarazione risolutiva è affidata a un lapidario take di agenzia (che riprende un’intervista a Vanity Fair): “Ai mondiali di calcio non tiferò per l’Italia”.
Il cervello (o il suo surrogato) che ha partorito la dichiarazione è quello di Renzo Bossi, figlio di Umberto, celebre (a parte che, incolpevolmente, per l’illustre genitore) per essere stato bocciato tre volte alla maturità, per aver diffuso un videogame in cui si divertiva ad affogare immigrati, per essere stato nominato consigliere di un organismo legato all’Expo 2015 di Milano per il quale ha beccato uno stipendio di dodicimila euro al mese, e per essere stato appena eletto consigliere regionale della Lega in Lombardia.
Voglio essere risoluto: uno con un curriculum del genere dovrebbe essere intervistato ogni giorno dai giornali.
Una sola domanda, a percussione: “Quanto vuole per andarsene?”.
Siccome Bossi junior pesa sulle tasche dei contribuenti (anche di quelli che non lo hanno eletto e che hanno a cuore il concetto desueto di qualità), sarebbe più conveniente e utile per tutti privarsi di un bipede similpensante e dargli la possibilità di dichiarare nel sotto vuoto spinto di un buen ritiro.
“Ai Mondiali non tiferò per l’Italia” dichiarato a un giornalista della cronaca locale del Santo Domingo News sarebbe consolante con un oceano nel mezzo, qualche fuso orario a fare da camera di decompressione e, soprattutto, con la certezza di rimanere a distanza di sicurezza (anche le cazzate hanno una gittata limitata).
Non so voi, ma sul mio sistema nervoso l’ignoranza colpevole genera pensieri urenti.
I primi dieci euro ce li metto io.