Te lo dico tra una settimana

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Prendo spunto dalla rubrica TeleVisioni di Aldo Grasso, che questa settimana elogia il mio programma televisivo preferito, Report, per chiedervi: ma non vi dà fastidio che le inchieste siano scomparse dagli organi di informazione?
La domanda è frutto di una mia tara mentale perché, da giornalista, sono stato costretto a sospettare che le inchieste provochino un sussulto solo agli addetti ai lavori, siano essi cronisti o soggetti a vario titolo coinvolti. So bene che non è così, però il tempo mi ha indotto questo pensiero.
Per realizzare un’indagine giornalistica ci vuole tempo, quindi ci vogliono soldi. Un giornalista che viene distaccato per seguire una pista è un giornalista che non produce quotidianamente quindi ci vorrà qualcun altro che si occupi della cronaca fresca. “Cosa scrivete oggi?” è la tipica domanda che il capocronista pone agli uomini del suo team. L’azienda dovrebbe metterlo in condizioni di sentirsi rispondere, ogni tanto: “Te lo dico tra una settimana”.
Capite che è difficile.
C’è poi l’aspetto più delicato, quello degli equilibri. Un’inchiesta punta a dimostrare o a scoprire qualcosa. Quindi il risultato sarà inevitabilmente disequilibrato. Se infatti non ci sarà una tesi che prevarrà su un’altra, l’inchiesta non avrà dimostrato un bel niente: sarà un collage di opinioni, un pastone, un normale articolo di cronaca. L’indagine giornalistica, come qualunque tipo di indagine, deve scardinare una porta, strappare un telo, scoperchiare un baule. E quanti editori in Italia, oggi, sono disposti a rischiare davanti al proprietario di quella porta, di quel telo, di quel baule?
Infine, il mestiere. Per scavare in una storia complicata ci vuole una grande esperienza. Già la mia generazione di giornalisti si trovò in debito d’ossigeno: negli anni ’80 i giornali si trasformavano e le aziende investivano moltissimo in tecnologie e quasi nulla in contenuti. Il risultato fu quello di creare professionisti sempre più duttili dal punto di vista produttivo e sempre più poveri di stimoli. Oggi va ancora peggio. Il mestiere si impara nelle aule universitarie e non nelle strade, nei pronto soccorsi, nelle aule di giustizia, in quelle consiliari, nei commissariati… Risultato: ragazzini freschi di laurea che non sanno scrivere una breve, che considerano i vecchi colleghi colleghi vecchi, che giudicano l’importanza della notizia dal ruolo di chi gliela fornisce.