Il pennello rubato

Sto scrivendo una cosa su Libero Grassi e, studiando tra carte giudiziarie e testimonianze giornalistiche, tra riflessioni dei figli dell’imprenditore e vecchi appunti che avevo sulla vicenda, mi sono imbattuto in una frase che dovrebbe essere scolpita nelle aule scolastiche e in quelle giudiziarie, nelle università e in tutti i luoghi del potere.

“Ciò che davvero conta è la qualità del consenso, la formazione del consenso. A una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia”.

Libero Grassi

Libero Grassi questa frase la pronunciò in un’intervista a Michele Santoro il 14 aprile 1991, quattro mesi prima di essere ammazzato dalla mafia, non tanto per essersi rifiutato di pagare il pizzo (come sbrigativamente si usa ricordare oggi), ma perché il suo “no” rappresentava un esempio umiliante e pericoloso per Cosa Nostra.

La qualità del consenso ha oggi un peso sconfinatamente maggiore rispetto a trent’anni fa. Oggi il consenso che conta non è più solo quello elettorale, che anzi è l’aspetto meno importante data l’estinzione degli elettori. Il consenso è una forma liquida di giudizio sempre meno informato, sempre più volatile. Con una materia così difficile da recensire diventa impossibile vagliarne la qualità. Pensate ai rivoli tecnologici lungo i quali scorre oggi il consenso. Pensate al gioco della rifrazione social su un’opinione o peggio ancora su un fatto acclarato.

Abbiamo più volte ragionato sulla scomparsa dei fatti e su quanto la voragine provocata da questo boato nel vuoto della ragione rappresenti un pericolo: per tutti. Per gli illusi della democrazia e per i suoi nemici, per chi nega a prescindere e per chi difende gli assiomi, per chi lotta e per chi si arrende.

Per questo la qualità del consenso è ancor più importante adesso. Perché dobbiamo cominciare col ripristinarlo, questo benedetto consenso. Come? Innanzitutto sposando con orgoglio una forma di narrazione soggettiva, parziale, non equidistante. Quindi smettendola con le par condicio che mettono sullo stesso piano l’oro e la merda. Poi cominciando finalmente a coltivare il futuro (ne abbiamo parlato a lungo qui) e adottandolo come programma politico, scolastico, artistico. Infine valorizzando le diversità reali, che obbediscono a formazione, cultura, scienza, opinioni verificate. Mi piace immaginare il consenso come un grande quadro dove ognuno dà una pennellata. Colori e pennelli purtroppo ce li hanno sottratti gli algoritmi che sembrano regalarci un nuovo tempo e invece ce lo rubano minuto dopo minuto, byte dopo byte.  Ma dovremo provvedere a recuperarne di nuovi. 

Grillo, i soliti attacchi e i soliti sospetti

Italian showman Beppe Grillo gestures as

Solito format, soliti attacchi contro Napolitano, contro il presidente della Camera Boldrini, contro il Pd e Renzi, contro i sindacati e la politica, contro Berlusconi.

Così l’inviata del Tg1 ha riassunto oggi nell’edizione delle 13,30 gran parte della missione palermitana di Beppe Grillo che ieri sera ha parlato in piazza Politeama. Non ne faccio una questione politica – una volta ho votato per il Movimento 5 Stelle, molte altre volte ne ho scritto criticamente qui e sui giornali – ma prettamente giornalistica. Non c’è nulla di male nel descrivere sbrigativamente un comizio, basta avere la coscienza a posto. C’è invece qualcosa di irritante nel imporre il doppiopesismo di un’informazione che ha la memoria corta.
Mi spiego.
Negli ultimi vent’anni abbiamo avuto un tale al governo – o da quelle parti – che ripeteva ogni giorno la stessa solfa: contro i giudici, contro i comunisti, contro Napolitano o chi per lui. Mai che il Tg1 si sia limitato a una descrizione sbrigativa del verbo berlusconiano, mai che abbia riassunto il veleno del leader di Forza Italia come “il solito veleno”, o magari “il solito format”. Mai.
Ora, per quanto mi riguarda, Grillo può gridare e sbagliare quanto vuole, il mio compito di elettore è censire le buone proposte nel suo programma, se ce ne sono, e decidere di conseguenza. Ma la Rai e il Tg1, che negli ultimi decenni hanno dato prova di esibirsi come equilibristi su un filo di lana (quindi di sfidare le leggi della logica) quando si trattava di diffondere il verbo di uno che lanciava “soliti attacchi” contro tutti quelli che si mettevano in mezzo tra lui e il suo tornaconto, non può sbagliare. Da spettatore pagante oggi esigo la stessa minuziosa pelosità nel raccontare le gesta del potente di turno. Altrimenti sarò legittimato a pensare che è facile fare gli spiritosi con Grillo perché – con tutti i difetti che ha – non spartisce, non traccheggia, non lottizza, non corrompe: basta essere dei gran codardi.