La tolleranza non è un muscolo, peccato

Vigo – Redondela
Redondela – Pontevedra

Sono entrato in quella detestabile zona di insofferenza che non riesco a controllare nonostante mi vergogni come un oste astemio e per la quale ci vorrebbe un investimento a cinque zeri presso uno psicologo bravo (anche se nei secoli dei secoli ho già dato). 
Sono ormai in vista di Santiago, mancano poche tappe, una sessantina di chilometri. E, come nel Cammino del Nord che pure viene dalla direzione opposta, questi ultimi giorni sono funestati – anzi mettiamoci le virgolette che lo shit storming degli imbecilli è sempre in agguato – “funestati” dalla moltiplicazione dei pellegrini. La maggior parte dei quali, cioè quelli improvvisati e che storicamente provengono da paesi tipo l’Italia, usano la locuzione “ho fatto il Cammino di Santiago” (come se ce ne fosse uno solo) per riscuotere un bonus di credibilità o uno sconto di pena al ritorno in patria nella loro ordinarietà cittadina più o meno esibita. Il loro Cammino di Santiago, espressione vaga quindi perfetta per un’audience distratta ergo maggioritaria, è tutto qui. Una sessantina di chilometri spalmati in tre, quattro anche cinque giorni tipo struscio in corso Umberto. E via raccontando: in fondo il migliore film che ci vede protagonisti è quello di cui nessuno ha mai visto un frame. 

E siamo alla mia complicazione psicologica. L’insofferenza.
Occhio, qui non c’è un briciolo di autocompiacimento, al contrario c’è disagio per un sentimento che non riesco a governare, come un’antipatia perniciosa che vorrei soffocare. Un prurito all’indole, diciamo.
Oggi per la prima volta in tre settimane e passa di salite, arsura, vento, sudore, polvere, solitudine ho sperimentato la prova più difficile, quella della socialità forzata. Truppe di giovani, anziani, chiacchieranti, schitarranti, adoranti di un dio prudente che tiene i tappi nelle orecchie, ciabattanti con calze, scalzi indecorosamente cingolati, puzzolenti che potevano non esserlo, ingombranti (camminano a quattro a quattro in un sentiero che al massimo consente lo spazio per due persone affiancate). Nella foto di questo post un esempio di scarso effetto.
E poi c’è questa cosa pittoresca in modo perfido per me: non so chi ha insinuato nella testa di questi aspiranti martiri l’idea che un cammino estivo si fa con gli scarponcini pesanti, alti, imbottiti tipo inverno siberiano. Sul tragico dualismo scarponi da un chilo o sandalo con calza da tedesco in vacanza a Venezia ci torneremo, perché l’argomento merita una trattazione approfondita. Insomma chi consiglia a questi disgraziati di camminare in agosto, in Spagna, con temperature simili a quelle italiane, su asfalto o sterrato, con scarpe corazzate spesso rigide come un’ingessatura o non capisce un cazzo di cammini o ha un contratto milionario coi poteri forti dell’ortopedia mondiale.

Saranno giorni difficili i prossimi, quelli che mi separano dall’arrivo a Santiago. Che, detto chiaramente, è la parte meno emozionante di questo viaggio. Però mi consolo: ho già messo dentro tutto quello che basta nel mio bagaglio privato di momenti perfetti e sono veramente felice per come sono riuscito a non deludermi, dato che ho una certa propensione ad appannare gli specchi in cui mi guardo…
Quindi da oggi sino all’arrivo, comunque vada, ogni passo in più sarà un centimetro geografico conquistato, un grammo corporeo abbandonato, un grado climatico neutralizzato. In fondo la folla dei pellegrini non è altro che una salita in più, solo più rumorosa. Ed è un vero peccato che la tolleranza non è un muscolo. 

23 – continua

Tutte le altre puntate le trovate qui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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