Fantascienza

Pontevedra – Caldas de Reis

Cominciamo dalla foto di questo post. È la tovaglietta di carta di una trattoria in cui ceno stasera. Sono a Caldas de Reis, in Galizia, a meno di quaranta chilometri da Santiago. La tovaglietta racconta i Cammini Compostelani e senza mezzi termini ci tramanda che il turismo è una cosa seria. Lo scorso anno vi avevo raccontato della mia esperienza sulla via Francigena e avevo dichiarato chiuso ogni rapporto coi cammini italiani. Troppa sciatteria, troppa disorganizzazione, troppi rischi (un paio di volte ho avuto paura di finire arrotato). La tovaglietta non è nulla di che, persino in Italia se ne trovano sui tavolini di bar e ristoranti. Ma questa è diversa. È un’idea territoriale, il puzzle completo di cui poi scegli le tessere. Ve l’immaginate nelle nostre lande la sfilza di fisime snervanti dietro un simile pezzo di carta: e chi la disegna? E perché lui? E chi la stampa? E chi la paga? E il mio logo? E perché quello è scritto più grande?

Io non lo so come fanno qui, solo solo che in molte località turistiche siciliane non riescono a mettersi d’accordo manco per le cartine geografiche 20 centimetri per 20. Quando arrivai al Teatro Massimo come direttore della Comunicazione e del Marketing, un po’ di tempo fa, ci misi un anno per fare arrivare regolarmente manifesti e brochure della Stagione ai centri di informazione turistica pubblica. E anche lì domande: e chi li porta? E chi li espone? E chi li appende? 
Lasciamo perdere.
Torniamo ai Cammini e al loro valore economico (che spagnoli e portoghesi hanno ben chiaro). La via Francigena in tal senso, se solo un giornale decidesse di fare un’inchiesta, è uno scandalo tutto italiano. Ma in tal senso io già dato. 
Invece vi dico cosa ho visto in questi giorni in Galizia. È chiaro che mi trovo nella zona calda del Cammino, più ci si avvicina a Santiago più cresce l’afflusso di pellegrini. I pellegrini sono gente strana, non a caso sto in disparte (non ho bisogno di importare stranezze altrui): dormono in mandria per pochi euro a notte, usano bagni e docce comuni, deglutiscono cibi da menù fisso, vanno a letto presto. Insomma spendono poco. È chiaro che c’è un che di intensivo in questa modalità di sfruttamento turistico. Però è l’offerta che mi colpisce. In città come Pontevedra ci sono negozi di abbigliamento, pedicure, erboristerie, barbieri, ristoranti per pellegrini. Identificato il target, l’offerta si adegua senza puntare a strozzare il turista, perché altrimenti lo perdi per sempre e queste sono terre in cui si torna dato che il pellegrino è religiosamente reiterante: sgrana passi tipo rosario e il rosario non è che si butta quando finisce.
Immaginate quanto fantascientifica può apparire una serata d’agosto chessò a Mondello, dove solo lo slalom tra posteggiatori abusivi e questuanti di vario genere è una roulette russa.
E poi la viabilità. Il Cammino portoghese, così come il Cammino del Nord, è coccolato dalle comunità perché è comunque un flusso economico importantissimo e inesauribile: non teme crisi economiche, inquinamento, riscaldamento globale. Bar accoglienti con sedie e ombrelloni ovunque possibile. Passerelle e vie pedonali per centinaia e centinaia di chilometri, senza soluzione di continuità (tipo per quasi tutta la Senda Litoral). Semafori intelligenti tarati sui pedoni con le auto che si fermano a distanza e non sulle tue caviglie. Nelle zone “calde” pattuglie di polizia sui sentieri e sui rarissimi attraversamenti di strade ad alto traffico: quando un pedone arriva, l’agente lo prende in consegna e lo conduce all’approdo dall’altro lato della carreggiata. Ditemi se non vi sembra fantascienza. 

24 – continua

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La tolleranza non è un muscolo, peccato

Vigo – Redondela
Redondela – Pontevedra

Sono entrato in quella detestabile zona di insofferenza che non riesco a controllare nonostante mi vergogni come un oste astemio e per la quale ci vorrebbe un investimento a cinque zeri presso uno psicologo bravo (anche se nei secoli dei secoli ho già dato). 
Sono ormai in vista di Santiago, mancano poche tappe, una sessantina di chilometri. E, come nel Cammino del Nord che pure viene dalla direzione opposta, questi ultimi giorni sono funestati – anzi mettiamoci le virgolette che lo shit storming degli imbecilli è sempre in agguato – “funestati” dalla moltiplicazione dei pellegrini. La maggior parte dei quali, cioè quelli improvvisati e che storicamente provengono da paesi tipo l’Italia, usano la locuzione “ho fatto il Cammino di Santiago” (come se ce ne fosse uno solo) per riscuotere un bonus di credibilità o uno sconto di pena al ritorno in patria nella loro ordinarietà cittadina più o meno esibita. Il loro Cammino di Santiago, espressione vaga quindi perfetta per un’audience distratta ergo maggioritaria, è tutto qui. Una sessantina di chilometri spalmati in tre, quattro anche cinque giorni tipo struscio in corso Umberto. E via raccontando: in fondo il migliore film che ci vede protagonisti è quello di cui nessuno ha mai visto un frame. 

E siamo alla mia complicazione psicologica. L’insofferenza.
Occhio, qui non c’è un briciolo di autocompiacimento, al contrario c’è disagio per un sentimento che non riesco a governare, come un’antipatia perniciosa che vorrei soffocare. Un prurito all’indole, diciamo.
Oggi per la prima volta in tre settimane e passa di salite, arsura, vento, sudore, polvere, solitudine ho sperimentato la prova più difficile, quella della socialità forzata. Truppe di giovani, anziani, chiacchieranti, schitarranti, adoranti di un dio prudente che tiene i tappi nelle orecchie, ciabattanti con calze, scalzi indecorosamente cingolati, puzzolenti che potevano non esserlo, ingombranti (camminano a quattro a quattro in un sentiero che al massimo consente lo spazio per due persone affiancate). Nella foto di questo post un esempio di scarso effetto.
E poi c’è questa cosa pittoresca in modo perfido per me: non so chi ha insinuato nella testa di questi aspiranti martiri l’idea che un cammino estivo si fa con gli scarponcini pesanti, alti, imbottiti tipo inverno siberiano. Sul tragico dualismo scarponi da un chilo o sandalo con calza da tedesco in vacanza a Venezia ci torneremo, perché l’argomento merita una trattazione approfondita. Insomma chi consiglia a questi disgraziati di camminare in agosto, in Spagna, con temperature simili a quelle italiane, su asfalto o sterrato, con scarpe corazzate spesso rigide come un’ingessatura o non capisce un cazzo di cammini o ha un contratto milionario coi poteri forti dell’ortopedia mondiale.

Saranno giorni difficili i prossimi, quelli che mi separano dall’arrivo a Santiago. Che, detto chiaramente, è la parte meno emozionante di questo viaggio. Però mi consolo: ho già messo dentro tutto quello che basta nel mio bagaglio privato di momenti perfetti e sono veramente felice per come sono riuscito a non deludermi, dato che ho una certa propensione ad appannare gli specchi in cui mi guardo…
Quindi da oggi sino all’arrivo, comunque vada, ogni passo in più sarà un centimetro geografico conquistato, un grammo corporeo abbandonato, un grado climatico neutralizzato. In fondo la folla dei pellegrini non è altro che una salita in più, solo più rumorosa. Ed è un vero peccato che la tolleranza non è un muscolo. 

23 – continua

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