Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Poteva essere il re di Palermo, invece ha scelto di essere un suddito del regno sghembo di Cosa Nostra. Poteva incamminarsi sereno nel viale del tramonto sportivo, invece si è buttato nel precipizio della fuga per disonore. Poteva essere Fabrizio Miccoli, il bomber che faceva sognare, invece è diventato Fabrizio Miccoli, il gradasso che andava in giro insieme col figlio di un boss latitante e che con lui oltraggiava la memoria di “quel fango di Falcone”. Nel 2010 mentre i giornali locali incensavano lo sportivo per aver rinunciato a un ingaggio stellare col Birmingham pur di rimanere a Palermo, l’altro Miccoli – quello che i calci non li dava al pallone ma alla buona creanza – intesseva, secondo i magistrati, una ragnatela di contatti con criminali e figli di criminali per mettere a segno un’estorsione travestita da favore personale. Sono passati cinque anni e quella vicenda è sfociata in un’inchiesta che ha portato i suoi amici in carcere e lui nuovamente alla ribalta delle cronache (giudiziarie, non sportive). Così l’ombra di Miccoli è tornata a lambire la nostra memoria: e più che ai gol, (…) il pensiero è andato alle lacrime di una conferenza stampa del 2013, all’addio con disonore. A quando il Miccoli bifronte venne messo a nudo come eroe debole, più straziato dalla vergogna di essere stato scoperto che dal rimorso di aver fatto scempio della correttezza. Magra consolazione: uno dei pregi della cronaca è che ogni tanto ci ricorda di chi dobbiamo dimenticarci.
[…] volte l’antimafia è stata usata dalla mafia per travestirsi, per infiltrarsi? Molte, troppe. Fabrizio Miccoli a parte, le offese a Falcone fanno parte di un copione trito che tende a rendere macchiette, a inscrivere […]
[…] Sono stato tra i più feroci critici del Miccoli amico di mafiosi, gradasso, imprudente e spocchioso, violento. E lo sono stato a tal punto da dimenticare le gioie che ci ha regalato quando inseguiva un pallone anziché una vanagloria criminale. Oggi Fabrizio Miccoli è un’altra persona per forza di cose: ha conosciuto il carcere, ha provato a riabilitarsi e, cosa che mi ha colpito, è voluto tornare per l’ennesima volta a Palermo. Lo ha fatto per incontrare Maria Falcone e per chiedere scusa, scuse che la sorella del magistrato assassinato ha accolto.È presto per celebrare riabilitazioni: in questi casi il rischio che da un angolo spuntino i tarallucci e il vino è sempre alto, meglio fare il giro largo.E prendendola in maniera molto ampia mi rendo conto che il concetto di perdòno come atto elargito, quasi come azione concordata e intessuta attraverso le trame sociali, va riconsiderato, almeno tra le persone senzienti che riescono ancora a schivare semplificazioni grossolane o addirittura artefatte. […]