Mango se n’è andato guardando il suo pubblico che lo guardava mentre moriva. La morte più felice, quella di un artista che lascia il palco della vita mentre è ancora – fisicamente – sul palco di un teatro, colpisce come un ossimoro biologico, come un azzardo del destino.
L’unica fortuna che ci viene incontro quando moriamo è probabilmente legata al nostro ultimo sguardo. C’è chi vede l’asfalto, chi la faccia stralunata di un medico, chi il ghigno di un killer, chi le lacrime di coloro che ci sopravvivono, c’è chi chiude gli occhi per non vedere e chi li sgrana per rubare l’ultimo filo di luce. Ma è sempre questione di fortuna.
Mango è uscito di scena tra gli applausi e non importa se erano disperati. Andarsene così, quando si percorre quella impervia strada obbligata che è la vita, è un modo per lasciare lo spartito sempre aperto, per far suonare all’infinito la canzone più bella.
Quand’ero giovane pensavo spesso alla morte, ma sempre quando non avevo nulla da fare: non accadeva mai, ad esempio, che ci pensassi mentre mi arrampicavo su una falesia o mentre correvo in moto. Probabilmente perché la felicità è l’antidoto migliore contro l’overdose di realtà. Oggi alla morte penso pochissimo, mi dà più fastidio l’idea di non saper/poter più fare certe cose, che realizzare l’implacabile avanzamento del countdown.
Si è davvero fortunati quando ci si trova al cospetto della morte senza che ci sia stato il tempo di fare le presentazioni. Ecco perché sono convinto che Mango se ne sia andato felice.
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