Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
La Sicilia che spopola nei talent show ha davvero qualcosa di siciliano? Dopo la vittoria del catanese Lorenzo Fragola sul palco di “X Factor” la domanda è di stretta attualità e di ampio raggio poiché per arrivare a un barlume di risposta bisogna viaggiare nel tempo e fregarsene dei confini geografici.
Prima di Fragola, nei mesi scorsi abbiamo salutato fenomeni come suor Cristina Scuccia, di Comiso, vincitrice di “The Voice of Italy”, e Deborah Iurato, della vicina Ragusa, trionfatrice nella tredicesima dizione di “Amici”. Senza contare la saccense Clarissa Marchese, miss Italia in carica, che non canta né ha avuto la consacrazione del talent, ma che fa groove nel paradiso catodico di una Sicilia piaciona e telegenica.
Non lasciamoci ingannare: per risolvere un quesito che ha a che fare con la geografia, dobbiamo arrenderci all’evidenza che la geografia ci dice poco. Fragola vive a Bologna. Suor Cristina, orsolina della Sacra Famiglia, prega e gorgheggia da anni a Milano. Clarissa Marchese la trovate a Parma dove, tra un set e l’altro, studia logopedia. Solo la Iurato ha ancora radici sicule, ma la certezza è che se son rose fioriranno, e fioriranno altrove. (…)
Per capire veramente se la vena di questi giovani talenti sia influenzata dalla Sicilia, e soprattutto se la Sicilia può meritatamente brillare di luce riflessa davanti a tanto successo abbagliante, è necessario ascoltare. Ascoltare e basta.
Nell’arte di Lorenzo Fragola c’è una solidità strabiliante. Un artista che ripropone Modugno con lo stesso felice controllo con cui si cimenta in un proprio brano (“The Reason Why”) merita di stare dove sta lui. Però parliamo di uno che è molto più vicino a Londra o a Glasgow, allo stile anche in termini di look di Ed Sheeran, piuttosto che a Catania e ai fermenti creativi che la percorrono.
Deborah Iurato canta (bene) come da cliché defilippiano. Non c’è nulla del territorio d’origine nel suo talento, c’è piuttosto una diversa declinazione di un modello musicale di consumo – di alto livello, per carità – che ha le sue sacerdotesse in Emma Marrone e Alessandra Amoroso (…).
Suor Cristina è un fenomeno mondiale legato più a Madonna (di cui ha rifatto la celebre “Like a Virgin”) che alla Madonna. Il videoclip con la sua esibizione vincente a “The Voice of Italy” è arrivato al quarto posto su YouTube, tra i filmati con più engagement al mondo. Badate bene: non tra i più visti, che sarebbe semplice, ma tra quelli che hanno coinvolto maggiormente, su scala planetaria, in un complesso calcolo di commenti, condivisioni, like e fan. Difficile immaginare un solo ingrediente comisano nella salsa di questo successo.
Viaggiando nel tempo in questa Sicilia bifronte, con l’Oriente irrimediabilmente rock e l’Occidente a prevalenza jazzistica (quindi purtroppo di scarso appeal mediatico), si trovano dei precedenti significativi, utili per decrittare l’evoluzione del modello musicale isolano.
I Denovo agli inizi degli anni Ottanta raccontarono una storia nuova, in cui la loro anima catanese influenzava senza prevaricare un motivo di ispirazione preso a prestito dai B52, dai Talking Heads e dai Beatles. Sempre a Catania, qualche anno dopo, Francois e le Coccinelle diedero uno scossone al rock’n roll italico, senza aver bisogno di impelagarsi in temi troppo folkloristici per ribadire la subliminale sicilianità della loro impronta. Per un certo periodo, sia i Denovo che Francois non ebbero rivali nel loro orticello, non perché erano imbattibili ma perché erano ben radicati nel territorio. Non a caso, uno che li fregava sul mercato (prevalentemente non legale) era Brigantony, altro catanese, campione di vendite nelle bancarelle e autore di una memorabile parodia di “The Final Countdown” degli Europe: “Mi stuppai ‘na Fanta”. Ed era anche quella una vittoria di territorialità.
Oggi i nuovi eroi dei talent sono imbattibili per assenza di competizione – spenta la tv, si spegne tutto – figli di un sistema più che di una città. Il modello dei talent è il talent stesso. E la Sicilia che lì spopola parla un’altra lingua, viene da un’altra storia, macina altre emozioni.
Quindi la risposta alla domanda iniziale è: no.