Il sogno (impossibile?) di una città pulita

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Un occhio elettronico spierà tra ramazze e sacchetti, conterà le pause sigaretta, ci dirà se il lavoratore è bravo o no, se la strada è pulita o sporca. La telecamera che il sindaco Leoluca Orlando vuole puntare sui dipendenti della Rap e della Gesip per combattere assenteismo e pigrizia, inciviltà e menefreghismo, però rischia di rivelarci anche una verità amara: una città che è costretta a vigilare in modo scientifico su un servizio fondamentale come quello che deve garantire la pulizia degli spazi collettivi, ha molto da interrogarsi.
Dopo il dipendente della Gesip, lo spazzino pubblico è sempre stato nell’immaginario del cittadino palermitano il simbolo dell’inazione. Solo che, prima con l’Amnu e poi con l’Amia pre-Cammarata, la percezione del disagio era attutita da una situazione finanziaria ancora fluida e non drammatica. Quando esplosero gli scandali della gestione Galioto e soprattutto dopo che l’Amia fu sepolta sotto una valanga di debiti, la figura già irritante del lavoratore che non lavora divenne insopportabile, un simbolo di ingiustizia.
Per andare alla radice del problema, più che una telecamera servirebbe una macchina del tempo giacché i guai dell’assenteismo sono il frutto di una politica dissennata che, nei decenni, ha prodotto assunzioni clientelari e distruzione sistematica del merito. Quale spirito di sacrificio o dedizione alla propria opera può avere uno che è stato assunto per chiamata diretta senza mai misurarsi con un brandello di senso di responsabilità? Quale potere di contrattazione può rivendicare un sindacato che ha avallato una pratica anti-meritocratica come quella che, all’Amia e in altre municipalizzate, prevedeva il reclutamento per via ereditaria, manco si trattasse dei reali d’Inghilterra?
La parola chiave del disastro è deresponsabilizzazione.
Il netturbino che ruba lo stipendio si muove come condizionato da un imprinting di indolenza: chi non ha sofferto non conosce il dolore, chi ha fatto il primo passo sulle spalle degli altri non conosce i propri passi. E nell’incerto mondo delle coscienze friabili l’eccezione è vista come un pericolo, ergo il tipo laborioso è una minaccia alla stabilità del sistema.
E’ qui che entra in ballo la deresponsabilizzazione. Poiché si può far nulla senza temere le conseguenze del proprio comportamento, perché comportarsi diversamente? (…)
Oggi Orlando vuole rifare i giochi usando la forza, stretto com’è tra l’esigenza di far cassa con la nuova Tares e la gestione di un malcontento popolare per la città lurida, ma sa che la partita è difficile perché ci sono da smontare uno status e un vizio. Il primo è quello del dipendente pubblico che ostenta la propria infedeltà perché la ritiene insita nel suo ruolo (questi assenteisti non si nascondono, semplicemente si manifestano altrove). Il secondo è quello del cittadino che sporca e non si preoccupa delle conseguenze poiché c’è qualcuno che deve pulire, “altrimenti che lo si paga a fare”.
Che si utilizzino i vigili urbani o le telecamere del ministero dell’Interno, gli agenti del controspionaggio o i droni Usa, la missione è complicatissima. Speriamo bene. (…)

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

2 commenti su “Il sogno (impossibile?) di una città pulita”

  1. Ottimo articolo che punta dritto al cuore del problema.La politica clientelare, la cooptazione per mano politica o mafiosa, deresponsalizza di fatto il dipendente con il
    sentimento di sicumera di avere protezioni
    sommerse e ab origine non professionali.
    Si possono raddrizzare le zampe dei cqani?
    Leoluca ha un compito impervio e gravosissimo.
    Con l’Autore: SPERIAMO BENE!

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