Caro futuro segretario del Pd siciliano

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica

Caro futuro segretario del Pd siciliano, tra tre giorni lei sarà sulla sella del partito più indomabile della Sicilia. Con una particolarità tutta sicula (noi siciliani adoriamo inventarci pieghe di singolarità nelle quali nasconderci): la vita del partito democratico è l’unico rodeo in cui i calci in pancia non li prende il gaucho, ma il pubblico.
Io c’ero, sulle gradinate, quando nel 2008 voi annunciaste un’opposizione durissima al governo di Raffaele Lombardo. Non mi piaceva troppo il centrodestra pigliatutto, ma soprattutto avevo la sensazione che la concezione autonomistica di Lombardo e dei suoi ideologi etnei fosse di tipo domestico: della serie, ognuno nelle sue pentole ci mette quello che vuole, a patto che la spesa la faccia qualcun altro. E siccome la Sicilia aveva già dato da mangiare a troppi scrocconi, decisi di votare per il Pd. Continua a leggere Caro futuro segretario del Pd siciliano

Le lezioni americane

Una buona notizia. Il centrosinistra sembra aver finalmente capito che le primarie non sono uno strumento di faida, ma un’occasione di crescita, di ostentazione di democrazia se vogliamo.
La mano tesa di Bersani a Renzi in risposta all’apertura di quest’ultimo dopo la sconfitta, è un raggio di sole nel buio della politica italiana. Gli ingranaggi dei partiti hanno bisogno di una buona passata di lubrificante: serve innanzitutto un rinnovato collegamento con la base elettorale che si illude di contare ancora. Le primarie sono preziose in quest’ambito. Non a caso negli Stati Uniti, dove sono state inventate, servono non a dividere ma a consolidare. Ci si affronta più o meno lealmente, si va allo scontro nell’interesse del Paese, si rispetta il verdetto dell’elettorato e alla fine si lavora tutti insieme. Finora dalle nostre parti non girava esattamente così: le divisioni restavano dopo il verdetto popolare e anzi si accentuavano quando c’era da costruire la squadra del vincente.
Oggi pare che i due nemici, anzi “nemici”, abbiano imparato la lezione americana. Il vincitore recluta lo sconfitto, lo sconfitto appoggia il vincitore.
E’ un ottimo spunto di sogno davanti a un centrodestra che non sa ancora svincolarsi dal padre padrone. E’ l’occasione inseguita dopo vent’anni di quel crudele masochismo intellettuale che trasformava in sconfitte anche i gol a porta vuota.

Non si salva un rospo

Il segretario del partito non conta davanti al proprietario del partito. E nulla ci fa se si usa la vernice del rinnovamento per ridipingere le vecchie assi del verticismo clientelare e spacciare per nuovo di zecca un progetto tristemente noto per la sua vetustà.
Nel Pdl ci si è inutilmente arrabattati per istituire delle primarie che facessero credere ai cittadini di essere partecipi, di votare veramente un candidato. Ma la realtà si è infranta contro la ferrea logica berlusconiana: il pallone è mio e si gioca con le mie regole.
Quindi niente consultazione popolare, avanti col vecchio porcellum (un sistema elettorale che ha un nome che eccita il padrone) e bocche chiuse, tranne Angelino Alfano, l’uomo dal mestiere più deprimente del mondo, che la può aprire solo per inghiottire rospi.

La moda delle primarie

Da sinistra a destra, i partiti italiani cercano di rilanciarsi con le primarie. L’idea di creare maggiore partecipazione è condizionata  dalla paura di scomparire che si porta appresso un dubbio non da poco: se gli elettori non vanno più alle urne per le consultazioni ordinarie, si accolleranno di fare la coda (e di pagare anche) per una competizione meno cruciale?

Le primarie sono un istituto tipicamente americano, risalgono alla fine dell’Ottocento, e sono state sperimentate in Italia solo in tempi recenti. In questo momento vanno di moda e la disinvoltura con cui se ne parla lascia stupefatti. Questo tipo di elezioni infatti dovrebbero partorire un candidato, anzi il candidato forte che, se eletto, dovrebbe governare senza doversi guardare le spalle dai suoi. Esattamente ciò che non accade in Italia.

C’è un supereroe che avanza

Se mi avessero detto che un giorno il sito ufficiale del Pd avrebbe avuto questa home page, avrei detto che quello sarebbe stato il giorno del giudizio (non per il partito, ma per l’umanità). Invece siamo tutti qui, più o meno sani e salvi, e il partito democratico celebra all’improvviso la leggerezza che non ha mai conosciuto. Le primarie dei Fantastici 5 ci consegnano un sorriso di compatimento e un dubbio: dato il riferimento al celebre fumetto della Marvel, chi è l’intruso? E di quali superpoteri dovrebbe essere dotato? Io suggerisco: tasche infinite.

Grazie a Giuseppe Giglio.

Ebbene sì, lo ha proprio detto

O Pierluigi Bersani è smemorato (ma tanto, eh) o crede che la Sicilia sia terra di smemorati (ma tanti, eh).

La coerenza di Orlando

via @ale_canni su Twitter.

Candidature

A Palermo dopo la tempesta epocale delle primarie, il centrosinistra ha un suo candidato ufficiale (almeno per il momento). Si chiama Fabrizio Ferrandelli e dietro la sua candidatura ci sono almeno un’inchiesta giudiziaria, veleni e cambi di bandiera. Insomma, potrebbe essere il candidato ideale del centrodestra.

Nel mondo tutto si trasforma. In politica tutto diviene. A Palermo tutto precipita.

Caccia all’intruso

Berlusconi che non va da Vespa.

Rating & Poor’s che promuove l’Italia.

Alfano che non vuole parlare della Giustizia.

Bersani che fa lo spiritoso su Twitter.

Il giudice che perdona Ruby Rubacuori.

Il Pd che fa autocritica sul disastro primarie di Palermo.

 

Sembrano tutte notizie inverosimili, eppure solo una è inventata.

Pd, il disastro annunciato

Diciamolo, il Pd di quest’Isola è amministrato da un Cammarata senza yacht, senza intrallazzi e senza Martini. Quindi ulteriormente depotenziato (almeno, credetemi, per quel che riguarda il prodigioso effetto di un buon cocktail). (…)
Il vero problema non sono le primarie, ma un quesito primario: chi c’è alla guida di un partito che ha scelto come testa di ariete una rispettabile signora che politicamente ha inanellato una sconfitta dietro l’altra? Chi governa un corpo politico che con la mano destra appoggia un presidente della regione di schieramento avverso e con la mano sinistra fa finta di accarezzare un rottamatore che per sopravvivere deve sputtanare non già i suoi avversari istituzionali, ma i suoi stessi compagni di partito?

Questo scrissi meno di tre settimane fa qui. E, badate bene, questa non è un’autocitazione, bensì un modo come un altro per dire che chiunque (persino io) poteva prevedere il disastro delle primarie di Palermo: perché per il Pd di disastro si tratta.