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sondaggio skyL’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Il canale satellitare Sky tg24 ha la buona (ma anche un po’ allarmante) abitudine di proporre ai suoi abbonati un sondaggio quotidiano su vari temi scottanti del momento. I risultati in fieri sono immediatamente visibili premendo un tasto. La domanda di oggi era questa: Berlusconi: “invito a non leggere i giornali, inventano le notizie e spargono pessimismo”. Sei d’accordo?
Alle ore 12.29, il 59% dei partecipanti al sondaggio era d’accordo.
In mattinata, Silvio Berlusconi ha precisato – senza tema di smentita – che la buona informazione arriva dalle tv (quindi da lui) che “non cambiano le parole”. Io più che cambiarle, sono rimasto senza.

Urgerebbe curriculum

Lucilla Agosti
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

E va bene. Passino (con ricorso a un robusto digestivo e nonostante i rumori convulsi dalle tombe di Huston, Ford e Fellini) Capossela in prima fila e Ligabue “giurato”. Facciamo pure il callo ad Alberoni “autorità del cinema”. Ma qualcuno, per l’amor del cielo, può spiegarmi che c’entra LUCILLA AGOSTI col tappeto rosso del sessantaseiesimo festival di Venezia? Si accettano le risposte più ingegnose.  Tranne una: “Ha fatto teatro”.

 

Un film “de paura”

videocracy
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono stato a vedere Videocracy, il documentario su non-vita, morte e miracoli della “telecrazia” berlusconiana che Rai e Mediaset mi hanno fatto il favore di ignorare (c’è chi ha usato un altro termine: censurare. Niente trailer e poco più che qualche notiziola sfrecciante sulla proiezione dell’opera a Venezia). Dico “favore” perché io sono come i bambini: più cerchi di nascondermi le cose – e più sono “certi” personaggi, a nascondermele – più corro a curiosare. Tra l’altro, mi vanto di aver sempre pensato (dai tempi spensierati di Drive-in) che i danni culturali inferti dalla Berlusconeide al nostro paese non siano secondi a quelli istituzionali. Mi dico: una serata al cinema che fa per me.  Così, eccomi alla prima della pellicola di Erik Gandini, italiano naturalizzato svedese. Tralascio le notazioni di colore (atmosfera divertente, pubblico ciarliero, quattro gatti in sala. Molti in sandali e calzoni rossi. Qualcuno persino scalzo: esiste anche il trucco e parrucco di cripto-sinistra, ahimé). Primi fotogrammi, e penso: Gandini ci ha azzeccato. Fotografia livida, colonna sonora “cardiaca”, tutta battiti, bassi e suggestioni à la Bernard Hermann di Taxi Driver. Insomma, se Videocracy non è proprio un film dell’orrore, ci andiamo vicini. Con punte di splatter nel bagno di Fabrizio Corona che si specchia nudo, a pisello sciolto, dopo la doccia, e nei primi piani di un Lele Mora-zombie, di bianco vestito ma con l’anima di un Darth Vader (non vi levo la sorpresa di scoprire che cosa suona nel suo blackberry).
Dilemma: c’era altro modo per raccontare quello che è andato storto nelle teste (e negli occhi e nelle anime) di moltissimi italiani negli ultimi vent’anni di storia? Secondo me no. Scena da ricordare: quella finale, del gruppo laocoontico di aspiranti veline che balla al ralenty su un palchetto arrangiato in un centro commerciale. Musica che non va d’accordo con i loro sorrisi e le loro contorsioni, montaggio in parallelo con Silvio e la sua truppa che marcia in grande spolvero tra due ali di folla. L’effetto è raggelante. Una notazione negativa (ma indipendente dalle qualità del regista): ho l’impressione che qualunque film sul fenomeno Berlusconi sia già vecchio prima ancora di essere proiettato, tanto la cronaca sopravanza la riflessione, la possibilità di storicizzare in modo efficace.
D’altronde, è una regola dello spettacolo anche questa: un colpo di scena al giorno leva la consapevolezza di torno.

Mica un calcio ar culo

Il marchese del Grillo

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Il premio Oscar bagherese Giuseppe Tornatore, appreso che Silvio Berlusconi ha definito “un capolavoro” il suo “Baarìa”, mostra di non apprezzare il giudizio. E, da caratterino qual è, lo fa alla conferenza stampa di apertura della sessantaseiesima Mostra del cinema di Venezia dichiarando, con tono infastidito: “Non sapevo che Berlusconi facesse il critico cinematografico”. Ora, posso anche capire che un uomo di sinistra preferisca che un complimento arrivi da un’area politica piuttosto che da un’altra. Ma sempre complimento è.  Restando in ambito cinematografico, davanti alla levata di Peppuccio l’indignato, non posso fare a meno di pensare alla battuta di Gasperino il carbonaro – alter ego del Marchese del Grillo/Alberto Sordi nell’omonino film di Monicelli – quando, di fronte a una reazione schifata dell’anziana madre marchesa che rifiuta una sua goffa effusione, esclama: “A ma’… io  te stavo a dda’ un bacio… mica un calcio ar culo!”. Ecco.
Un complimento, mica un calcio al culo.

Alberto e Francesco

Separati alla nascita

di Abbattiamo i termosifoni

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francesco_rutelli

Alberto Sordi e Francesco Rutelli.

Niccolò e Dario

Separati alla nascita

di Abbattiamo i termosifoni

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Niccolò Ghedini e Dario Argento.

Ben e Oliviero

Separati alla nascita

di Abbattiamo i termosifoni

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Ben Gazzara e Oliviero Beha.

Francesco e Marco

Separati alla nascita
di Abbattiamo i termosifoni

Francesco Cossiga

marco columbro

Francesco Cossiga e Marco Columbro.

Giovanna e Camilla

Separati alla nascita

di Abbattiamo i termosifoni

giovanna botteri

Camilla_Parker_Bowles

Giovanna Botteri e Camilla Parker Bowles.

Piange Palermo

Foto di Tony Siino, da Rosalio
Foto di Tony Siino, da Rosalio

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Rosalia mi perdoni, ma il festino della patrona non l’ho mai potuto digerire. E in fondo, non è nemmeno responsabilità della santa.  E’ la premessa drammatica della celebrazione che non mi esalta: i guai li risolve la provvidenza. Niente può l’iniziativa.  Cade la peste su Palermo. Le madri piangono i loro figli. Gli uomini piangono figli, madri, nonni e cugini. I più arrabbiati piangono – e basta – l’egoismo dei potenti (che cosa mai avevano promesso nelle precedenti elezioni?) che hanno mezzi e astuzia sufficienti per cercarsi squadre di cerusici che li preservino dal male nero, e ognun per sé, eccetera. Tutti quanti piangono e strapiangono nell’attesa della Santuzza che innaffi la città di benedizioni anti-peste. Intanto muoiono, si denudano il petto, boccheggiano, poetano, si contorcono, corrono senza direzione.  Nella proverbiale Oslo, sarebbe saltato fuori un medico benefattore della collettività che avrebbe cavato un antidoto da una muffa. Un santuzzo.  A New York, avrebbero prima costituito un gruppo di scienziati no-profit impegnati a lottare contro l’epidemia e spodestato sindaco o presidente marrani. Uno staff di santuzzi.  Poi, a cose fatte, avrebbero pianto. E pregato. A Palermo, persino nelle favole antiche, si tiene conto della più archetipica risorsa del siciliano: l’assistenzialismo, più o meno disatteso. Cammarata, distratto com’è,  ha fatto male a non salire sul carro. La Santa c’entra pochissimo con i lazzi i frizzi e i palloni della notte del quindici luglio. I veri protagonisti del festino sono quelli come lui.