Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
In “1997 Fuga da New York” si narra di un’intera città diventata carcere, dilaniata al suo interno da una violenta anarchia che tiene a distanza persino le forze dell’ordine: solo un galeotto senza scrupoli e nerboruto come Jena Plissken riuscirà a penetrare all’interno di quella terra di nessuno, a compiere la sua missione e a riportare a casa la dura scorza. Nella Palermo del 2014 la situazione, al netto degli effetti speciali cinematografici, è analoga, con abitanti del centro ostaggio di abusivi e baby gang, e vigili urbani che si rifiutano pubblicamente di addentrarsi in alcune strade per paura di essere presi a mazzate. Al momento manca solo un erede di Ken Russel, probabilmente perché fanno più paura le bottigliate della movida che le pallottole degli scagnozzi del “Duca” Isaac Hayes, ma non è questo il problema giacché, non essendo un film, qui non servono atti di eroismo a buon mercato. Quel che invece serve è un enorme tasto di reset da schiacciare col ditone della democrazia. Le regole, i ruoli, le garanzie, i doveri sparsi e mescolati come le tessere di un puzzle, vanno recuperati e soprattutto contati: il vero problema è infatti che qualcosa si è perso in un trambusto sociale in cui persino il tempo libero dei nottambuli diventa un’emergenza di pubblica sicurezza (…). E non occorrono poteri speciali o mezzi più moderni, ma un rigore antico che non tralasci violazione. Non invochiamo più vigili, censiamo le coscienze vigili. Solo così capiremo se la Palermo da salvare vuole essere davvero salvata.