Le regole della natura e quelle della politica

Nonostante i distinguo che si appigliano in modo fallace a testimonianze di tecnici e scienziati, i danni degli eventi naturali possono essere previsti.
Molti amministratori e burocrati si stanno affrettando a precisare che precipitazioni come quelle di questi giorni in Sicilia sono difficili da arginare. Il loro ragionamento sottende un’idea di fatalismo: quando succede, succede.
Non dategli conto, non è così.
Qualunque geologo di buon senso, qualunque contadino di esperienza, qualunque montanaro genuino vi spiegherà – ognuno con ragioni convincenti – che la natura ha un sistema di vendetta che ha più a che fare con la matematica (se sottrai due tonnellate di terra devi aspettarti due tonnellate di ignoto) che con la casualità.
La tragedia del Messinese altro non ci insegna che devastare di abusivismo una zona ad alto rischio idrogeologico è un crimine grave come ignorare i pericolosi smottamenti che da anni in quell’area hanno messo a grave rischio la popolazione. Eppure ci sono enti, assessorati, funzionari, tecnici stipendiati perché il dramma non accadesse: mi piacerebbe conoscere i nomi dei responsabili e, possibilmente, gli anni di galera che dovranno scontare per la loro criminale negligenza.
Il sistema dell’equilibrio, dell’ultraprudente presunzione di colpevolezza, dell’arte di dividere il capello in otto a seconda della testa dal quale è stato strappato è roba vecchia, inadeguata a una realtà in cui il potere è completamente estraneo alle leggi, una realtà in cui l’unica responsabilità valida è quella di cui ci si spoglia.
La vergogna di Palermo, con tonnellate di immondizia che navigano nelle strade trasformate in fiumi, ha un contrappasso grottesco nei suoi amministratori comunali che, anziché chiedere scusa per il disastro ambientale, aumentano la tassa per il ritiro dei rifiuti.
Cerchiamo di capirci: questi signori non hanno la faccia di bronzo, non hanno proprio la faccia.
Il sindaco Diego Cammarata è uno di cui si parla solo per via delle indecenze di cui si è reso protagonista: la vicenda Ztl, il caso Amia, lo scandalo dello yacht, tanto per citare i più eclatanti. Se non fosse per le sue manchevolezze – “manchevolezze” è un termine frutto di un’autocensura ragionata – nessuno in Italia lo conoscerebbe. Nessuno saprebbe chi amministra da otto anni il quinto centro del Paese, nonostante l’infausto articolo di Panorama in cui nel luglio del 2006 si vaneggiava di Palermo come la città più cool d’Italia. Nessuno si chiederebbe, qui e altrove, chi sta nella stanza dei bottoni di un agglomerato urbano cruciale per il Mediterraneo, chi amministra quasi un milione di abitanti ignari di chi li amministra.
Dov’era ieri il sindaco di una città che affonda nel fango vero e metaforico (il primo pericoloso per la vita, l’altro per la dignità)? Si è sporcato le scarpe per andare nei luoghi della vergogna? Se sì, come ha deciso di rimediare? Ha revocato immediatamente l’aumento della tassa per l’immondizia che annega la città (il naufrago non paga per l’acqua del mare che lo uccide)? E se nulla di questo ha fatto, quando ritiene di andarsene e porre fine in modo dignitoso alla sua insopportabile presenza di amministratore assente?

Aggiornamento. Il Tar ha bocciato l’aumento della Tarsu deliberato nel 2006 dalla giunta comunale di Palermo. Insomma il nostro sindaco e i suoi accoliti si trovano in un pasticcio che potrebbe essere ancora peggio di quello delle Ztl.

Il video è di Giovanni Villino.