Quando ero giovane, il pomeriggio c’era la tv dei ragazzi. C’era “A come avventura”, con la sigla in cui Joe Cocker cantava She Came In Through The Bathroom Window. C’erano i telefim come “Fantomas”. Le serie come “Happy days”.
Anche le televisioni private, sul finire degli anni Settanta, davano il loro contributo. Quando nell’autunno del 1978 partì “Io vedo Cts”, Palermo scoprì che gli idoli della tv non erano solo quelli che trasmettevano dal Continente. I due protagonisti del programma, Ferruccio Barbera e Marcello Mordino, diventarono presto il mito della porta accanto, luminoso e raggiungibile.
La tv in quegli anni era lo spettacolo per eccellenza. E la fascia pomeridiana era il gioco sicuro. “Non andare fuori che piove”, dicevano le mamme, “guarda un po’ di televisione”. Il piccolo schermo era rifugio e arena: era soprattutto sinonimo di attendibilità. “L’hanno detto in televisione”.
Oggi la fascia pomeridiana, immersa in quel limbo indefinito e ipocrita che la definisce “protetta”, è esattamente l’opposto.
“Pomeriggio Cinque” con Barbara d’Urso è il peggior concentrato di volgarità in cui mi sia mai imbattuto. La perfetta coincidenza tra temi e ospiti, nefandezze e gente nefanda, ne fa un caso che dovrebbe essere affrontato in molte sedi: legale, sanitaria, politica.
“La vita in diretta” con Lamberto Sposini è il peggior concentrato di ingredienti inutili e superflui in cui mi sia mai imbattuto. Chi passa da lì è obbligato a lasciare il cervello fuori dallo studio perché, come i telefoni cellulari, disturba le trasmissioni. Lo stesso Sposini, a forza di entrare e uscire, si è dimenticato di riprenderselo e, forse, di averlo mai posseduto.
Quella degli anni Settanta non era – penso – una tv di miglior qualità. Era semplicemente un luogo dove non c’era il metal detector per i neuroni. Tutto qui.
L’immagine è tratta dal libro “Prove tecniche di trasmissione” di Lucio Luca, Sigma Edizioni.