Venti mesi tra buio fitto e penombra. Venti mesi duri, durissimi. Oggi finalmente la luce. Quando ho saputo che da lunedì i teatri italiani potranno ritornare al 100 per cento della capienza, quei venti mesi mi sono passati davanti agli occhi come un film, e perdonate la scontatezza: in fondo c’è sempre qualcosa che ci scorre davanti come un film… Eppure davvero di film si trattava e non solo per trita metafora. Perché questo arco di tempo infinito – venti mesi di emergenza pandemica possono essere atroci come venti anni o due secoli – sono stati per me un film, un film vero, da rivedere, magari da correggere, comunque su cui riflettere, di cui inorgoglirsi, per il quale commuoversi.
Il film del Teatro Massimo di Palermo lo avete visto in tanti: sui vostri smartphone, sui computer, sulle smart tv, sulle reti televisive ufficiali. Per più di un anno questo film è stato l’unico mezzo di collegamento tra un teatro e il suo pubblico sparso per il mondo, recluso contronatura in ogni landa del pianeta, eppure unito nel godere quasi clandestinamente di un’arte che sembrava diventata un frutto proibito.
La natura che impone la dittatura del contronatura.
Non abbiamo mai chiuso neanche quando eravamo chiusi. Abbiamo sudato nelle nostre mascherine per togliere la maschera a una visione ipocrita della cultura che vorrebbe piegare l’arte alle piccole (!) contingenze dell’umano. Ci dicevano, dicevano e scrivevano: meglio fermare tutto e aspettare la fine dell’emergenza. Invece noi tiravamo dritto con la stessa follia con la quale, molto prima degli altri (perdonatemi uno sbuffo di immodestia), aprivamo una finestra nel web dalla quale godere dello spettacolo di cui allora godevano in pochi. Ci siamo detti: facciamo musica, creiamo, mettiamo su spettacoli anche a teatro chiuso. E lo abbiamo fatto subito.
Subito.
In piena pandemia.
In piena confusione istituzionale.
In pieno vuoto di potere culturale.
Abbiamo, ognuno per la sua parte (così mi rifaccio dell’immodestia di cui sopra), messo su una stagione esclusivamente per il web con opere pensate esclusivamente per il web.
Non potendo governare il futuro, di cui vi ho parlato da queste parti, lo abbiamo inseguito con l’illusione di poter affrontare almeno qualche curva insieme senza respirare la polvere di chi aspetta che siano gli altri a fare strada.
E lo abbiamo fatto senza renderci conto che quei passi nel buio sarebbero stati determinanti nelle nostre vite professionali e non solo. Oggi se guardo indietro trovo i migliori spunti per ciò che farò domani. Un Teatro chiuso e buio trasformato in un grande set cinematografico per tutto questo tempo è la migliore metafora per il Teatro che da dopodomani tornerà a essere il vecchio caro Teatro Massimo con 1.200 e passa posti disponibili, il più grande d’Italia e il terzo in Europa.
Nasciamo tutti al buio, il resto è rivoluzione.