Sicuro meno di duecento

Il tema è complicato perché incrocia le coordinate più roventi, quella della crudeltà sui bambini e quella della vendetta feroce per un crimine così feroce. Ieri, 25 anni fa, un bambino, Giuseppe Di Matteo (qui la sua storia) veniva strangolato da uomini disumani agli ordini del capo dei disumani, Giovanni Brusca. Oggi molti di questi delinquenti sono collaboratori di giustizia. Brusca, uno che non ricorda neanche quanti omicidi ha commesso (“molti più di cento, sicuro meno di duecento”, ha ammesso serenamente), rischia di uscire nel prossimo autunno. Lo dice la legge, mica un redivivo Carnevale o qualche sentenza aggiustata.

E siamo al punto cruciale. Il semplice rispetto delle regole, delle norme che guidano il nostro vivere quotidiano, possono acquietare la rabbia e l’angoscia di una simile aspettativa? L’idea che un mostro che ha fatto strangolare un bambino (qui la testimonianza della bestia che partecipò all’omicidio) torni libero è compatibile con una visione serena e civile dello Stato di diritto? Sicuramente no, così come nessuno – neanche un mahatma o un dio – possono vietare di odiare chi merita di essere disprezzato, allontanato, negato addirittura nella sua umanità. Non si risolve tutto coi codici, non ci si salva l’anima mettendole la sordina. Abbiamo più volte dibattuto sul diritto di non perdono e su quell’ancora di salvezza che la rabbia composta, argomentata, rappresenta quando i mostri del passato non si dissolvono e anzi si ripresentano col volto peggiore dei loro infami ispiratori. Io odio Giovanni Brusca non soltanto per i “sicuro meno di duecento” morti sulle spalle, ma per averci messo dentro, a casaccio, un giudice, un bambino, una madre, e via assassinando: morti su morti, non conta chi, non conta quando, non conta come… Unica certezza: meno di duecento.

È l’orribile casualità del male nel quale Brusca ha scelto di vivere, che lo rende un essere immondo (senza giri di parole). Che poi gli sia concesso di vivere più o meno comodamente è un dettaglio che il mio diritto di non perdono non considera. Per me un uomo così è già morto, straziato nella mia considerazione sociale, dilaniato dalla vergogna di non essere mai stato sfiorato da un vero ravvedimento. L’importante è non ritrovarselo in tv a riannodare i ricordi di una smemoratezza nefanda.  

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

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