Elogio della distanza

Il mio incubo non è invecchiare, o peggio morire. Ma indurirmi, perdere sensibilità verso la parte più bella della vita che, notoriamente, è quella che comporta più fatica. Come un panorama unico per il quale abbiamo scarpinato, viaggiato, speso un sacco di soldi, sofferto a causa delle zanzare o del freddo o della diarrea, il bello che rischiamo di perderci (passo al plurale maiestatis per diluire un po’ di responsabilità) è qualcosa che ci è costato più di qualcosa. Indurirsi significa aver sprecato fatica, tempo, soldi, e la nostra moneta più preziosa: il sentimento (che, badate bene, non è solo l’amore ma tutta una congerie di corto-circuiti belli e divertenti). 

La condanna ad essere social a tempo pieno, la perdita di un valore come la distanza – perché se si è tutti vicini non ci sarà mai la mancanza che è uno dei fondamenti dell’arte e della ricerca – ci rendono tutti più duri, meno sensibili alle variazioni. E senza variazioni il panorama è piatto: ci può piacere un giorno, due. Poi è una palla mortale. 

Ecco perché dovremmo ricominciare a farci domande senza hashtag, a darci appuntamenti parlandoci e a vederci guardandoci. 

Una vera rivoluzione, secondo me, può cominciare da qui.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

3 commenti su “Elogio della distanza”

  1. il mio incubo non è invecchiare, in parte è proprio morire. mi spiace che la strada che ho ipoteticamente davanti si faccia sempre più corta. è bello pensare che ci sia tempo per fare altre cose, scoprirne altre, o perché alcune cambino.
    con tutti i suoi dolori, la vita è sorprendente, e sa sempre tirare fuori un sprazzo di luce nel buio.
    mi fa orrore l’idea di perdere la mia autonomia fisica (e magari mentale) e di separarmi da chi amo. ciò detto, come mi ricordo sempre, è morto anche henry morgan.
    beviamoci le ore e i giorni concessi, assaporandoli sino in fondo.

  2. Ancora una volta, mi trovo in sintonia col tuo sentire. Anch’io ho paura d’indurirmi e perdere la parte migliore della vita, i sentimenti, la capacità di connettersi con quella parte interiore che rimane la migliore anche quando affoghi nel dolore.
    Comincio ad avere un grande senso di fastidio ad una “socialità” che non mi permette di riconoscere l’altro nel suo sguardo, nella sua postura, sentire il suo odore, se sa di buono…
    Rimpiango un mondo reale, e forse siccome la strada davanti si fa breve, ne sento un bisogno estremo.
    Grazie Gery, questo viaggio credo che ti abbia dato una grande luce, è un bene che tu la condivida.

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