Un certo miracolo

Il miracolo è quella cosa che se la racconti tutti ti prendono per scemo e se non la racconti sei tu a dirti scemo. Poi quello che sta nel mezzo tra ciò che è stato e ciò che poteva essere, attiene ai sedimenti del tuo pensiero, alle good vibrations che siano di origine religiosa o terrena, perché ci sono momenti in cui non è l’attimo che vale ma ciò che lo circonda.

E non conta più la cronaca che ti poteva vedere per una volta dall’altra parte del vetro, dell’oggetto del resoconto, ma quel filo di momenti che ti hanno accompagnato all’appuntamento cruciale e dal quale poi ti hanno tirato fuori con la stessa congerie di coincidenze sulle quali rifletterai per gli anni a venire.

Il prima. Un pomeriggio fastidiosamente fresco e un appuntamento per la famosa visita medica di controllo che hai schivato per mesi. Decidi di andare ma in moto, altrimenti dovrebbero paracadutarti in quell’angolo di città incasinato. Passi davanti al tuo ex giornale e un pensiero di deliziosa malinconia ti riporta a quei venti e passa anni trascorsi lì dentro a macinare parole da impaginare. Poche centinaia di metri dopo, rallenti: c’è traffico. Davanti a te un’auto dei carabinieri. Nelle orecchie hai una canzone di Ligabue che non ti piace. Pensi, che cazzo Ligabue se solo ci mettesse un terzo accordo forse sarebbe diverso…

Al posto dell’accordo arriva una Ford Fiesta guidata da un anziano che, per sua candida ammissione, ha scambiato il freno con l’acceleratore. Ma tu ancora non lo sai, sei preso dalla questione Ligabue, infastidito da quel cazzo di fresco che ti filtra dal casco, e poi c’è il traffico… Quel traffico che a un certo punto non sta più al suo posto, e manco la macchina dei carabinieri. A dire il vero neanche tu sei dove eri prima. Sei in aria, dopo un colpo secco che hai sentito alle tue spalle.

Il momento cruciale. In questa rarefazione di luoghi – perché vedi la tua moto che si allontana? Che ci fa la tua gamba sinistra lassù, verso il cielo? Perché la strada si è capovolta? – capisci che un’interferenza cruciale si è insinuata tra te, quel pomeriggio fastidiosamente fresco e la famosa visita di controllo che tanto ti rompe i coglioni.

Ecco, voli con una leggerezza che qualcuno ti ha donato, perché non è tua, lo sai. Come di incanto, anzi come di schianto.

Il dopo. Non è come te lo aspettavi, ma a questo pensi molto dopo quando ricorderai lo strano tepore dei grandi dolori e la dolcezza degli attimi che possono essere definitivi (chi ha provato l’esperienza del coma può capire). Solo i fortunati possono raccontare di esserlo stati.

Atterri. Il problema non è dove, ma quando. Atterri dopo attimi secolari in cui, molto prosaicamente, messi da parte i grandi quesiti rarefatti (la moto, la gamba, la strada) realizzi ciò che è accaduto: un tale ti ha falciato a tutta velocità e ora si sta schiantando contro la macchina dei carabinieri che sta davanti. Atterri di nuca e di schiena, ma è come se qualcuno ti avesse steso un materasso sotto. Benedetto casco, ti dirai. Ma il casco non ti prende per le braccia e ti adagia, non ti ferma a pochi centimetri da un’auto parcheggiata, non ti alleggerisce di 80 chili facendoti rialzare con una agilità che non ti riconosci. Poi scoprirai che l’investitore ti conosce bene, è un fattorino che ha lavorato proprio in quel giornale negli anni in cui c’eri tu. E che ti riempirà, urlando come un ossesso, delle sue folli attenzioni presentandoti a tutti come se tu fossi l’ospite illustre in una cena del Rotary: vedete l’uomo che stavo ammazzando è mio amico, negli anni d’oro (di chi, di cosa? Ci vuole un contest) faceva questo e quest’altro! Scoprirai che evidentemente quella visita medica oggi proprio non dovevi farla. Che le good vibrations sono come le polpette: nessuno sa cosa c’è dentro, come sono state preparate, ma nutrono ed è una gioia trasversale non chiedersi troppo. Che i miracoli hanno qualcosa a che fare con un percorso la cui unità di misura è l’attimo. Che un dio se c’è, è esplicito in certi suoi segnali. Tipo quello di non fartene andare con Ligabue nelle orecchie.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

9 commenti su “Un certo miracolo”

  1. È letteralmente un emozione leggerti
    ..unico e ineguagliabile dott Palazzotto..le vibrazioni sono in ogni lettera che abilmente scegli nel raccontarti ” Great”

  2. Il miracolo? Che tu possa mirabilmente raccontare il tuo miracolo, con un “dopo” che non sarà più come “prima” perché alcuni “istanti” ti fanno rinascere, rivivere, riflettere.

  3. Ciao Gery, la tua storia mi ha commosso. Nella mia prossima canzone, in via assolutamente eccezionale, aggiungerò un accenno di terzo accordo.

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