C’è un esercizio di fondamentale importanza per allenare alla resistenza il muscolo dell’autostima ed è l’abbattimento sistematico del concetto “non può succedere a me”.
Come tutti gli esercizi ha bisogno di tempo per poter essere svolto in modo fluido. Richiede applicazione costante, autocritica, resistenza alla disillusione e una buona dose di incoscienza trasversale. È soprattutto una pratica la cui utilità si rivela quando c’è davvero bisogno, quindi magari mai. Avete presente l’estintore del supermercato, incorniciato nella sua vetrinetta col megafono e una vetrofania che dice “da usare solo in caso di incendio” e che in realtà sussurra “ue’, ho detto solo in caso di incendio”? Ecco, il concetto è quello.
Il problema del tempo di pace è che funziona solo in funzione dei tempi di guerra in cui è incastonato quindi si porta appresso un’ontologica vagonata di incomprensioni: è giusto pensare al peggio quando si sta benissimo? È di buon gusto ipotizzare un piano B mentre il piano A sta ancora macinando successi? Ci si può ritenere statisticamente al riparo quando le tempeste travolgono gli altri, magari vicini, e non noi? Esiste una zona franca delle intenzioni? E soprattutto la Banca della Bontà dà conti sicuri e a prova di inflazione?
Chiunque si dia dato la pena di sopravvivere sa che il filo sul quale, da acrobati improvvisati quali siamo, ci muoviamo è solido e che il vero problema è la nostra capacità di rimanere in equilibrio, laddove l’equilibrio è solo un artifizio metaforico che non garantisce un bel nulla: esistono persone disequilibrate che se la passano infinitamente meglio di esemplari umani probi e morigerati e questo è il labilissimo confine tra ingiustizia e figata, tra religione ed epopea della bestemmia. Credere nel “non può succedere a me” è come comprare le azioni di una società di cui non si conosce il prodotto, come salire su una macchina del tempo che ha le marce bloccate, come dire senza aver mai ascoltato. In realtà le cose accadono a tutti, nessuno escluso, e quelli che si ritengono in salvo o sono incauti o sono defunti. È una questione di tempo, nella lite tra il presente e il passato quello che è a rischio è sempre il futuro. Come in amore, dove negli inizi i difetti si trasfigurano in incantevoli attrattive che solo un presente cinico e puntuale riesce a tradurre in fastidiose interferenze. Come in guerra o in malattia, dove il fuoco è quello che brucia gli altri sin quando lo stupore doloroso non ci macchia di un sangue che non è altrui. Come nel tran tran delle nostre vite miserevoli, dove il giudizio degli altri – amici, nemici, sodali, concorrenti, correi, infami – dà frutti non commestibili in una pianta che non volevamo coltivare, ma che è cresciuta anche grazie alla nostra insipienza e/o distrazione, come un’erbaccia.
Meno red carpet più uscite di sicurezza, meno certezze più dubbi, meno benevolenza più intransigenza. Gli organismi più longevi al mondo non sono i più grandi e i più complessi, ma i più resistenti. Poco di tutto, senza fare ipoteche. Più difese che truppe d’assalto, più consapevolezza che fiducia, più audience interiore che claque. Il futuro è una terra straniera e tutto può succedere. Persino a noi.
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