Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Una croce per le strade di Palermo. Una croce portata a spalla da un uomo fisicamente provato. Un simbolo antico in una città in cui l’antico è spesso considerato irrimediabilmente vecchio. Biagio Conte quel simbolo l’ha riportato di moda, l’ha trascinato non già nell’afrore di una strada sporca e assolata, ma nei trend topics del nostro vivere distratto.
Che lo si consideri grande comunicatore o mediocre narciso o umile servo di Dio, questo missionario laico è riuscito a far affiorare le contraddizioni di una Palermo bifronte che lo ama eppure lo deride, che lo accudisce eppure gli volta le spalle, che lo prende a modello eppure lo critica. Merito della croce che lo ha ingigantito mentre ricurvo imbastiva una fila di piccoli passi che lo portavano da un eremo all’altro, un simulacro che qualcuno ha letto come motivo d’ispirazione per un travestimento da Cristo, e altri invece hanno guardato con semplice curiosità poiché non capita tutti i giorni di vederne una vera, grande, di legno e chiodi in un mondo di lamiera e cemento.
Palermo incontentabile. Ti stronca se sei visibile, ti calpesta se sei invisibile, quando invece la visibilità dovrebbe essere la conseguenza di ciò che fai e non la causa. La politica è la fabbrica per eccellenza di apparizioni senza merito, e in tal senso Biagio Conte e quelli come lui che si mostrano e che ostentano la loro scarna fisicità, ne sono l’esatto opposto. Se non apparissero non ci potrebbero essere le loro opere di bene, se non si manifestassero non riuscirebbero a sopravvivere: la carità non è contagiosa e per diffonderla serve un gran dispendio di energie.
Una delle “accuse” (e le virgolette servono a rendere la giusta dimensione alla critica civile) mosse, anche su questo giornale, a Biagio Conte è quella di essere un “narciso a fin di bene”, come se il suo entrare e uscire dal palcoscenico della sopravvivenza potesse essere recensito. Non ho una verità rivelata da tirar fuori, mi limito a suggerire un’altra chiave di lettura. È possibile che Biagio non sia “vestito da Cristo”, ma che sia vestito di quel nulla che ha? È possibile che quella croce non gli pesi, ma anzi lo sorregga?
Il simbolismo conta per chiunque creda in un dio, dal Cristo fino allo Spaghetto Volante del pastafarianesimo. Biagio Conte (…) è un raro caso di uomo che pur non possedendo nulla rischia di perdere tutto. Ha costruito un sistema folle cioè basato esclusivamente sulla fiducia, ci ha messo dentro tutti quelli che nessuno voleva e quando si è sentito abbandonato si è preso in spalla quelle assi inchiodate e ci ha stupiti ricordandoci che anche nel 2014 c’è qualcuno capace di ritirarsi in ascetismo, a pregare. E beh. Stateci voi a pane e acqua in una grotta e vediamo che faccia fate se, appena ritornate salvi ma barcollanti in città, la prima cosa che vi fanno notare è che avete una croce che fa pendant con un look di duemila e passa anni fa. Perché sono la croce e il ritorno a destare scalpore, non l’atto estremo di un ritiro che, a dispetto della geografia, è ai confini del mondo.
Ma per fortuna Biagio, campione di sopravvivenza nella terra più inospitale (che non è la savana ma la metropoli), non è come noi: non si incazza e continua a incantare col suo verbo desueto eppure semplice. E scardina persino i portoni dei circoli più esclusivi della città che hanno deciso di fare donazioni alla sua Missione Speranza e Carità. Pensateci, che meravigliosa metafora è questa: il miglior modo di togliersi la puzza sotto il naso è ascoltare un uomo che viene da una settimana di vita all’addiaccio. Miracolo della croce?
Trending topic comunque.