Palermo senza Biagio Conte

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Dei palermitani ha detto: “Hanno il difetto di attendere che i problemi si risolvano da soli”. E per lui, severo e impetuoso come un vento che sveglia e rinvigorisce, l’accidia non è solo uno dei vizi capitali, ma un mostro da combattere.
Di Palermo e delle sue istituzioni ha scritto di sentirsi deluso dopo essere stato lasciato solo “da Regione e Comune”. Poi ha preso la via dell’esilio non senza aver chiesto ai suoi collaboratori di resistere fin quando possibile, manco fossero al fronte.
Uno così dovrebbe essere guardato con distacco nella città della diffidenza, tenuto a distanza con la canna in quanto rompiscatole autoproclamatosi laico in missione per conto di Dio. E invece Palermo si fida di lui, di Biagio Conte, anima (linda) e corpo (malandato) di un centro di accoglienza come mai se ne erano visti in Sicilia.


Che sia per magnetismo, effetto inebriante di fede o per semplice simpatia, la città ha sempre manifestato interesse per le gesta di questo eroe moderno che parla di sé in terza persona e che usa il bastone per sorreggersi ma mai, anche quando ne avrebbe pieno diritto, per randellare. Dai più umili ai più snob, torme di palermitani si sono inchinate dinanzi al suo fascino ipnotico.
(…)
Poteva farsi prete, dando al suo progetto un crisma di ufficialità che avrebbe oliato certi ingranaggi e soprattutto raddrizzando le bocche storte di alcune gerarchie ecclesiastiche che in principio vedevano in lui un anarchico della carità, una sorta di concorrente sleale nel mercato delle anime. Quando gli hanno chiesto il perché di questa scelta, ha risposto semplicemente “perché non era il progetto che Dio aveva per me”, manifestando la spiazzante certezza che ne avesse avuto comunicazione diretta.
Se mai decidessero di dargli un Nobel dovrebbero inventarne uno per l’indipendenza, poiché fratello Biagio, come si fa chiamare, è l’uomo più libero che si possa incontrare. E non perché non riconosce alcuna autorità, ma perché il suo principale – capo, guida suprema, e se vogliamo datore di lavoro – sta talmente in alto da non incombere coi suoi ordini.
Il corpo di Biagio è leggendariamente piegato dal tempo. Troppe notti all’addiaccio, troppe scomodità tutte insieme, troppe privazioni e, dal punto di vista terreno, troppo di nulla e nulla di troppo. Ci fu un periodo in cui lui non camminava più, dato che alcune sue vertebre lo avevano tradito. Andò a Lourdes in treno con l’Unitalsi – primo viaggio in cui non si muoveva a piedi, coi sandali – e lì all’improvviso mollò la sedia a rotelle. La Chiesa parla di miracolo, noi comuni mortali ci limitiamo a pensare che, come scriveva Jules Verne, alcune strade portano più a un destino che a una destinazione.
Chiunque sia il suo suggeritore, se ne esiste uno, questo missionario laico ha inventato un importante codice di comunicazione, col mondo e soprattutto con i suoi seguaci. L’esercizio dell’uguaglianza non già come diritto, ma come moneta di scambio è in tal senso geniale: siccome noi siamo uguali, io posso chiedere a te ciò che chiederei a me. E nessuno osa dirgli di no.
Nessuno tranne la fredda macchina burocratica, guidata da una diaspora di cervelli che diluiscono all’infinito le responsabilità, e ispirata da un fondamentalismo economico che usa la crisi come lavatrice delle coscienze. Non c’è un euro e pussa via.
E così venne il giorno della Croce. Fratello Biagio se la caricò fisicamente in spalla, se ne fregò delle metafore, e se ne andò per monti a cercare quelle che noi chiamiamo risposte e che lui chiama soluzioni: “Dio mi dirà come mi devo comportare nei prossimi giorni”.
Di certo il Padreterno non gli darà i soldi che mancano per far sopravvivere la Missione Speranza e Carità. Forse – e ne abbiamo un’inspiegabile certezza – troverà modo di lodare l’intransigente mitezza di quest’uomo che dà una lezione a chi lo ha abbandonato, abbandonandolo a sua volta. Ci piace pensare che per una volta Palermo senta la sua forza, la forza di un uomo curvo, disarmato e solo. La forza della sua assenza.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *