L’insulto ai precari da parte del ministro Brunetta è la cartina di tornasole dell’arroganza di una certa politica. Ho avuto modo di sperimentare personalmente la protervia del signore in questione quando, un paio d’anni fa, mi occupai dello spam che il tizio aveva fatto per pubblicizzare un suo libro. In un colloquio di cui conservo ancora la registrazione (e che prima o poi renderò pubblico, quando i tempi saranno maturi e il de cuius sarà depotenziato, che ci volete fare tengo famigghia), Brunetta si esibì in una serie di salti mortali imperfetti, come quelli del circense che fa finta di non avere rete di salvataggio ma che in realtà sta volteggiando nel tinello.
Mi colpì la spocchia di un piccolo uomo che sa di aver torto – e in quel caso aveva torto, come poi i fatti dimostrarono – ma che deve azzannare in virtù di una mandibola e, peggio ancora, di una dentiera non sue. Il rango di ministro per uno come Brunetta è un’occasione imperdibile: lasciarsi logorare dal potere è il vizio ideale per chi non sa ammettere i propri errori. Solo che – unica perfezione del destino – il potere passa, gli errori rimangono.
Un concentrato di protervia, dimostrata in maniera insolente e con disprezzo delle opinioni altrui.
Chissà, nella classificazione del genere umano fatta da Sciascia, a quale delle definizioni meglio corrisponde: uomini (impossibile) ominicchi, mezzi uomini (la statura non c’entra) o quaquaraquà.
Comunque, una specie di pochette con all’interno un vuoto umano e culturale assolutamente incolmabile.
Cito un passaggio di una bellissima canzone di De Andrè dal titolo “Un Giudice” che, chissà perchè, mi pare perfetta per definire Brunetta:
“Passano gli anni, i mesi,
e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti
senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste,
batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano
è una carogna di sicuro
perché ha il cuore toppo,
troppo vicino al buco del culo”
Forse potremmo definirlo un “omarino” , senza alcun riferimento alla statura