Vivere a Paninolandia

Prima vivevo nel centro storico di Palermo. Ci ho abitato per dieci anni. Ogni giorno, quando uscivo da casa, passavo davanti alla bottega di un orologiaio. Poi giravo l’angolo e c’era il negozio di un antiquario. E ancora, dalle mie parti c’erano negozi di abbigliamento (piccoli, con proprietari in carne ed ossa mica colossi incorporei di multinazionali), il barbiere, il parrucchiere, il salumiere e via dicendo, fino al negozio che vendeva computer.
Nel giro di tre anni – siamo alla fine dei ’90 – la maggior parte di questi negozi ha chiuso. Al loro posto sono sorte paninerie, rosticcerie, pizzerie, bar-pub, friggitorie.
Stessa cosa accade nella zona in cui abito adesso. Con una differenza. Adesso chiudono anche le paninerie, per far spazio a nuove paninerie. L’evoluzione della specie commerciale non ammette eccezioni. Il nuovo divora il vecchio senza inglobarne l’esperienza, che anzi sputa via come se fosse roba velenosa. Al posto dei panini imbottiti ora ci sono fritture prefritte e pizzette liofilizzate che vengono messe in forno non per cuocere, ma per essere rianimate.
Palermo è un’immensa Paninolandia.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

11 commenti su “Vivere a Paninolandia”

  1. La forma liofilizzata forse è la migliore. Sicuramente meno tossica del prodotto garantito a parole dal gestore-amico di un noto bar (che anche tu conosci ma solo per qualche sporadico caffè o the). “Scusa (…nome…) ma che c’è in quel nuovo pezzo di rosticceria che vedo sul banco?”. “Bellissimo, prendilo, gustosissimo: mozzarella, prosciutto, vrùstel, émental, carciofa, funghi, melenzane, piselli, bresciamèla, senape, salsa rosa…”. E non finiva di elencare gli ingredienti che tu già sentivi da lontano le sirene del 118 accorrere in soccorso…

  2. Devo purtroppo riflettere anche su un punto non indifferente: l’evoluzione di questa specie sta anche nel fatto che, cambiano le tipologie merceologiche ma i gestori sono sempre gli stessi!

  3. Dalle tue parti, almeno, si mangia; dalle mie ci si strozza. Chiudono i negozi e aprono “finanziarie”. Prestiti a iosa, quinti di stipendio trattenuti, interessi “minimi” per centocinquant’anni. E sui parabrezza delle macchine proposte di prestiti, prestiti, prestiti….

  4. Totò Rizzo potrà avere tutte le ragioni del mondo, ma io non ce la faccio a rassegnarmi all’idea che per sopravvivere devo liofilizzarmi. Ora, questa non vuole essere un’apologia della grascia e del suo ruolo strategico nella cucina palermitana (argomento per altro ormai banale perché ampiamente sfruttato in letteratura), ma semplicemente non riesco a rassegnarmi all’idea che le cose per essere salubri debbano essere prive di sapore, come se fosse il sapore stesso ad essere nocivo.

    Dopo di che, ed è il motivo per il quale avevo cliccato su “commenta”, volevo dire che il 3.0 (liofilizzato vs. panino) mi provoca angoscia, mentre il 2.0 (panino vs. bottega) non lo faceva più di tanto: avrei precisato che alla fin fine, in cambio di un centro storico vissuto e dunque vivibile oltre il tramonto, ero pronto a rinunciare a qualche bottega dotata d’anima. Sì, certo, avrei detto a questo punto, me ne rendo conto che il nodo è proprio quello: l’anima progressivamente sparisce, ma – forse perché appartengo a una generazione successiva a quella di Gery – sono sostanzialmente rassegnato a questo processo.

    Poi, però, leggo il commento di Totò e mi viene in mente che forse l’anima delle bottegucce è la stessa anima che conteneva il sapore. Non un’anima di grascia, ma un’anima corporea. E allora capisco che fino ad oggi ho assistito compiaciuto alla liofilizzazione del centro storico. E me lo sono fatto andare bene.

    E poi, dopo di me, arriverà uno con la supponenza dei suoi vent’anni e mi dirà che – visto che appartiene a una generazione successiva alla mia – è naturale, c’è da rassegnarsi alla sparizione del sapore.

    Resta solo da dimostrare che Totò Rizzo ha vent’anni.

  5. L città si sposta in periferia . Dalle mie parti (via Leonardo da Vinci parte alta) si vende ancora “u sfinciuni” cu a lapa a pranzo e a cena : “Ora ora u sfurnai” !.
    I Stigglioli, dal lnedì al giovedì mussu e quarume )( molti scrivono caldume,
    sbagliando) .
    C’è spazio ancora per qualche palermitano DOC?
    Forse no, anche la “quarume” è diventata “off shore”. Il pennarello con cui era scritto l’annuncio era un pennarello colto! Una buona grafia!

  6. ps
    per queste persone comunque la cultura non è un buon libro ma un buon PC, mai un Apple comunque, un cellulare ultimo grido, e la mozzarella di bufala , autentica (?) , a colazione

  7. @silas flannery

    La mia era una provocazione. Non parteggio di certo per il liofilizzato e ogni tanto mi lascio tentare dal “pezzo” di rosticceria di cui sopra, scelta della quale (non avendo più vent’anni…) pago le conseguenze. Lo faccio anche con la mia figlia più piccola (anni quasi 13) al McDonald’s. Preveggente, consapevole di una tossicità ineluttabile. E penso ancora alla faccia da suicidio di mio padre quando portò a casa – una ventina d’anni fa – una “addìna” ruspante, la cucinò nel più prelibato dei modi e i miei figli oggi più grandi, allora bambini, già avvezzi al GirarrostoSuperGrill, lo liquidarono con un “nonno,ma che schifo!!!”…

  8. @totò: così mi piaci. (Comunque ti prego di tenere presente una cosa: la parola “supponenza”, in quel ragionamento, era rivolta a me stesso, non a te; lo si intuisce da come scrivi che non hai vent’anni, e questo vuol essere un complimento).

    Comunque ecco, questo può essere un punto d’incontro: la tendenza alla liofilizzazione dipende dalle prestazioni del fegato, che in giovane età sono più dinamiche e quindi permettono di ignorare le conseguenze della rosticceria. Anch’io, che a questo punto posso affermare di appartenere a una generazione successiva alla tua (e, sia detto per inciso, questo lo specifico con supponenza ^^), sono stato attratto a un certo punto dai McDonald’s, ma poi il fegato ha ripreso il controllo della maggioranza del corpo e mi ha invitato gentilmente a rivedere le mie posizioni.

  9. Voi dite quello che volete, ma io al calzone fritto (possibilmente panato) non rinuncio. Quarant’anni o non quarant’anni.

    La mia filosofia è alla Cagliostro, un po’ di frittura (veleno nel caso del conte) al giorno alla lunga immunizza.

  10. A Catania, invece, sono i bar e le gelaterie che si moltiplicano senza sosta. Oramai sono uno ogni passo e in tutti i quartieri. Paninerie? In dosi regolari. In aumento i kebabbari e il fast food indiano

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