Il vento dell’infinito

Porto – Vila Chā

Non saprei come definirlo diversamente. Io lo chiamo “il vento dell’infinito” e lo riconosco al primo alito non appena mi affaccio sull’oceano Atlantico. Non ha una direzione, mi avvolge e basta. Basta si fa per dire, nel senso che dal momento in cui mi prende è invece l’inizio di un sentimento che conosco bene e che non finisce mai di impressionarmi. Non ha temperatura, non scompiglia i capelli, non gonfia vele e non agita alberi. Accoglie solo me tra le sue braccia e mi culla in pensieri non recensibili. Se ho caldo mi rinfresca, se ho freddo mi scalda, se mi sento oberato mi alleggerisce, se mi sento vuoto mi riempie. So per certo che molti di voi sanno di cosa parlo: ognuno di noi ha sistemi di riferimento o, in modo più romantico, magiche convergenze che risolvono, fluidificano, benedicono, purgano, rivelano, accarezzano, trascinano, sanano. Che sia geografia, arte, storia, astronomia, fondi di caffè o altro è un dettaglio ininfluente.

Il mio “vento dell’infinito” probabilmente è la somma di passioni e aspettative, è il placebo di tutte le sindromi che mi invento quando non so dare un nome alle mie colpevoli debolezze. Ci penso sempre quando sono lontano, un po’ come accade con la montagna e con la neve. Solo che qui, sulla Senda Litoral, è una cosa più complessa, più intima. Vento è, e il vento indossa i vestiti di tutte le anime che incontra non per mimetizzarsi, ma per spogliarle.
Per questo probabilmente non riesco a spiegarmi come vorrei. Anche perché mentre scrivo, in un bistrot orgogliosamente di quart’ordine, un tale abbastanza strafatto si è seduto accanto a me e vuole fare conversazione nel suo portoghese alcolico: ci siamo messi d’accordo, con la complicità della proprietaria del locale, tu non mi rompi troppo i coglioni e io ti offro la birra. Ha capito subito e si è chiuso in un mutismo soddisfatto.

Per dare un senso definitivo al pippone sul “vento dell’infinito” potrei dirvi, banalizzando, che è una specie di doping dei pensieri. Li catalizza e li guida, indubbiamente li influenza e forse se ne porta qualcuno appresso come topini dietro al pifferaio. Io me lo chiedo: dove vanno a finire tutti quei pensieri?

16 – continua

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Equilibrati ed equilibristi

Azambuja – Santarém

Non mi ha mai acceso l’idea di inseguire un equilibrio. Credo anzi che le migliori idee, le migliori invenzioni nascano dal disequilibrio, più precisamente dal flusso tra due pesi, unità diversi. E’ un concetto tipicamente fisico, se volete. Ma ha una sua rispettabile opinabilità. Conosco molte persone che si sentono a disagio fuori dalla loro bolla che tendono a mantenere integra e lontana da possibili disequilibri.
Inutile ribadire (o forse no) che non parliamo di squilibri che hanno a che fare con la salute mentale, con la nostra idea di giustizia e con le corrette dinamiche sociali.
Ma è utile dire – visto che questo è il mio diario – che l’unica occasione in cui sovverto questa visione dell’equilibrio è quando mi imbarco in Cammini o spedizioni faticose. In quei frangenti l’equilibrio lo cerco, lo bramo, lo sogno nel vero senso della parola (qualche notte fa senza vergogna mi sono svegliato pensando a una tappa impegnativa e a come affrontarla al meglio).

Prendiamo la fatica. La fatica è di tutti, non solo degli sportivi o dei forsennati. La fatica è il miglior arnese con cui fare le cose, quindi non fate spallucce se siete divanisti con laurea ad honorem in sollevamento telecomando. Da ex maratoneta ho sempre pensato a come dominarla, la fatica, a come superare il limite. Anche in montagna da giovane, giocando con l’effetto dell’altitudine, mi sono drogato di emozioni che erano fiammate, strappi di adrenalina. 
Poi da camminatore tutto è cambiato. La fatica non si domina più, ma si previene. Si gioca di tattica, si tengono bassi i battiti perché l’unico modo per raggiungere il risultato è cimentarsi in piccole somme. Questo più questo più quell’altro, a poco a poco, mi condurrà all’obiettivo. Senza giochi di artificio, senza picchi ostentati. La prevenzione della fatica è la più importante palestra di equilibrio che abbia mai frequentato. E metteteci tutte le metafore di cui siete capaci, ognuno si merita quella che riesce a partorire.
E ancora il vento. Il vento in Portogallo per quelli come me è una delizia senza croce. Ci si muove con 30 gradi con un vento fisso (al momento, ma anche no) di 25-30 km all’ora. Vento da Nord, quindi contrario al mio cammino. Il che comporta un sottile esercizio di equilibrio psicologico tra godimento per l’effetto refrigerante e sofferenza per la disidratazione, poiché col vento il sudore evapora prima con quel che ne consegue. 

Oggi, gambe stanche e spalle doloranti, mi piace pensare che l’unico equilibrio che vale la pena di cercare, quando non si è più giovani e non si è ancora decrepiti, è quello tra i propri desideri e il proprio orgoglio. 
E intanto mettere un passo davanti all’altro. 

P.S.
Comunque domani vi parlo di Vaselina… 

5 – continua

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