C’è una categoria di giornalisti che, con premeditazione, lavora sei mesi e percepisce lo stipendio per un anno.
Le regole prevedono infatti che un giornalista professionista disoccupato che lavori per sei mesi con regolare contratto a termine abbia diritto, a contratto scaduto, ad altri sei mesi di disoccupazione: in pratica gli si paga mensilmente circa il sessanta per cento dell’ultimo stipendio. E questo meccanismo può andare avanti all’infinito: sei mesi al lavoro, sei mesi di riposo, sei mesi al lavoro, sei mesi di riposo…
La conseguenza è che alcuni giovani professionisti hanno imparato a gestire con disinvoltura questa “situazione d’emergenza”, trasformandola in un reale privilegio. Provate a chieder loro di lavorare stabilmente con un fisso mensile superiore a quello che ufficialmente percepiscono e vi sentirete mandati a quel paese: tra guadagnare un tot senza muovere un dito e guadagnare di più avendo la noia di dover lavorare, cosa credete che scelgano?
Naturalmente non mi sogno di criminalizzare chi fa ricorso all’assegno di disoccupazione, ci mancherebbe (anch’io ne ho usufruito quando ero a spasso). Credo comunque che da parte dell’Ordine dei giornalisti, dell’Assostampa e dell’Inpgi servirebbe una maggiore attività di vigilanza. Anche perché chi fa questi giochetti è allergico alle regole: evade il fisco, si vende in nero al migliore offerente (che spesso coincide col peggiore interlocutore), lavora molto volentieri quando la categoria è in sciopero, insomma danneggia tutti i giornalisti (soprattutto economicamente).
Ah, quando il saprofita ha un contratto di sei mesi e un giorno, la disoccupazione si moltiplica fino ad arrivare a due anni. Tutto pagato, naturalmente.