La nostra febbre del sabato sera

L’articolo di oggi su Repubblica Palermo.

Nella Palermo delle grandi comitive, la “Febbre del sabato sera” contribuì a dividere la città in mandamenti del divertimento. Era la fine degli anni ’70 e Salvo Licata ammoniva, con la cifra di schiettezza e cinismo che lo fecero gigante di scrittura e arte di sopravvivenza: “Statevi arrasso da queste contrade percorse da proiettili vaganti”. Si sparava eccome, eppure Palermo sembrava davvero una capitale dei giovani ante litteram, giacché i giovani c’erano e si vedevano per strada, nelle piazze, debordavano dai marciapiedi col loro armamentario di Vespini e maglioni lunghi. Ogni gruppo aveva il suo territorio, manco fossimo nel Bronx o nei vicoli di Montmartre dove un metro di distanza significava divergenze di coltello o di pennello. E ogni gruppo aveva il luogo di culto nel quale celebrare i riti di affiliazione, di congiungimento, di guerra. La discoteca.
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Vita da buttafuori

Buttafuori violentiUn estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Ai tempi dei romani venivano chiamati ostiari e avevano il compito di sorvegliare l’entrata della chiesa. Ma sin da prima, nei meandri dei miti sumerici, c’è traccia di guardie preposte al controllo di un ingresso. Addetti pagati per filtrare gli avventori, per mettere ordine in un’umanità accalcata. Oggi nella freddezza del linguaggio burocratico, fanno parte del cosiddetto “personale di controllo”, e sono “operatori di gestione flusso e deflusso”, ma è molto più efficace chiamarli col nome composto che ne spiega l’antico e fondamentale ruolo: buttafuori.
La tragedia del Goa, con la morte del povero medico Aldo Naro, li ha strappati a quel mondo di penombra nel quale vivono, accendendo oltre alle luci della cronaca anche qualche interrogativo. Quali sono i loro limiti d’azione? Chi certifica la loro formazione? Insomma quando ci imbattiamo in questi signori, chi ci dice in che mani, anzi manone, siamo? Continua a leggere Vita da buttafuori