In vacanza

Sono stati mesi molto faticosi, cari amici. Per questo e per qualche altro motivo di carattere personale ci vuole una bella vacanza. Ci sentiamo il 4 marzo.
Comportatevi bene, mi raccomando.

Gery

La geisha

Me la sono tenuta dentro per un giorno interno. E’ una storia che ho vissuto sabato sera, tre ore di follia che hanno messo a repentaglio quei pochi grammi di dignità che ho conquistato in 44 anni di vita. Ve lo dico brutalmente: sono stato una geisha.
Come da definizione ho vestito i panni di una “giovane donna giapponese istruita nella musica, nella danza e nell’arte del tè ed addetta a intrattenere gli uomini ospiti di conviti privati o pubblici”. Ora, in questa frase ci sono vari indizi che vi mettono sulla strada del travestimento carnevalesco. Innanzitutto la parola “giovane”, ancor più che “donna”: il trucco fa miracoli, ma le rughe per fortuna non mentono. Passi per “l’istruita nella musica”, ma la danza… Chi mi ha mai visto ballare ha conoscenza diretta dell’astrattismo legnoso, quell’orientamento artistico che accomuna esseri umani e bastoni di scopa. Quanto “all’arte del tè”, la cosa che intingo con maggiore disinvoltura nell’acqua è una compressa di Alka-Seltzer. L’unica verità è che ho intrattenuto “uomini ospiti di convitti privati e pubblici”, e non solo: chiunque (tra maschi, femmine e altro) mi abbia visto per strada, al ristorante, nella calca di una festa mi ha guardato con orrore, fotografato, abbordato, deriso, palpato. Se questo non è intrattenere!
A tarda sera, quando sono tornato a casa, mi sono imbattuto in uno specchio e mi sono trovato davanti un androide mezzo Platinette e mezzo Gene Simmons dei Kiss. Ho ancora nelle orecchie le risate della mia compagna, vera artefice di tutto questo. Il suo travestimento? Da strega naturalmente.

La controfigura di Diliberto

Non sono mai stato tenero con Berlusconi. Del resto non mi piace il suo programma politico, non mi piacciono molti uomini del suo partito e della sua coalizione, non mi piace lui come persona.
Ma non mi fa schifo.
E anche se mi facesse schifo non lo direi, come invece ha fatto ieri il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto.
Coi tempi che corrono, questo linguaggio va bandito dalla vita pubblica: lo scrivo a rischio di apparire bacchettone, ripetitivo o, ancor peggio, forzitalioto. Dire di un leader politico che fa schifo equivale a giudicarlo come persona abietta, ignobile, che merita biasimo e riprovazione. Vuol dire additarlo ed esporlo a giudizi che nulla hanno di politico e di civile. Viviamo in un paese dove la violenza non fa fatica a trovare giustificazione in una qualsiasi parola. Se, come dicono, Diliberto è uomo molto colto allora dovrebbe licenziare la sua controfigura.

Un bel posto

Torno da Barcellona. Un posto dove vi consiglio di andare. Un posto dove la gente ti ascolta anche se non parli la sua stessa lingua. Un posto dove si fa baldoria per strada, ma dove le strade sono sempre pulite. Un posto dove l’euro non affama chi non evade il fisco. Un posto dove la sinistra sta a sinistra e la destra no. Un posto dove i libri sono un argomento di discussione e dove le librerie sono affollate come discoteche. Un posto dove ognuno sta al suo posto perché, nel bene o nel male, se lo è meritato. Un posto dove si pranza e si cena tardi e dove arrivare in anticipo significa passare più tempo in compagnia (magari di estranei). Un bel posto insomma. Ve lo dice uno che vive nella città più cool d’Italia.

Un consiglio

Piccola pausa di tre giorni per questo blog. Il suo titolare/tenutario/manovratore/padrone/inquilino fa una capatina in Spagna per questioni librarie.
Vi lascio con un consiglio: un libro. Si chiama “Figlio di vetro”, è scritto da Giacomo Cacciatore ed è pubblicato da Einaudi. Non voglio sbrodolare, dico solo che è un’opera che coniuga alla perfezione una grande invenzione letteraria con una scrittura importante. E’ un libro che graffia senza il rischio di infettare, induce alla riflessione senza ungersi di tesi precostituite: ho avuto l’onore di leggerlo in anteprima e vi assicuro che contiene uno dei finali più coinvolgenti che conosca. Questo blog non è una testata giornalistica e non ha pretese di autorevolezza (le due cose non sono necessariamente collegate, anzi!), però esibisce una garanzia di autenticità: perché ci sono una faccia, un nome e cognome, nessun paravento di nickname. Quindi il mio consiglio è come ogni post di questo blog: libero e ponderato. Buona lettura!

La fiducia nello Stato

Per una congerie di eventi avverto l’esigenza di parlare bene di qualcuno. Un qualcuno generalizzato (QG) che fa un lavoro duro, guadagna poco, rischia molto. Potrei fare nomi e cognomi, ma so che i diretti interessati non la prenderebbero bene. Il QG mi ha restituito una fiducia nello Stato che non ricordavo neanche di aver perso, forse perché non avevo avuto modo di esercitarla da troppo tempo. Il QG consola con la forza di argomenti duri e sa spronarti con la sorpresa di un sorriso. Gestisce strategia e compassione, dovere e concessioni con un occhio alla legge e l’altro alla persona che ha davanti. Il QG non ha mai a che fare con allegre combriccole o brigate spensierate. Se cede alla propria indole deve essere pronto a pagarne le conseguenze. E per il QG il conto è sempre più salato. Il QG ama il proprio lavoro, non potrebbe farne uno diverso anche se vorrebbe lamentarsi per come viene trattato da chi dovrebbe fornirgli mezzi e incentivi che merita ampiamente. Il QG mette in pericolo la sua vita e non ha pubblico pagante ad applaudirlo quando l’ovazione se la meriterebbe davvero. Cuore e cervello, pugni serrati e pacche di simpatia, onore e onestà.
Non posso che parlare bene di questo QG che ha il nome di molti investigatori, funzionari, agenti della polizia di Stato. Le forze dell’ordine sono un pilastro di un Paese che perde certezze a ogni soffio di vento. Dovremmo ricordarcelo ogni giorno.

Ottomila lire di pane

Giornali, tv e siti web si cimentano da qualche giorno nella misurazione (con bilancino elettronico) delle buste paga degli italiani dopo le riforme. Si assiste alla rimonta degli impiegati, il che potrebbe tranquillamente ispirare un nuovo episodio di Fantozzi data l’entita della cifra: quasi venti euro in più! Nessuno per fortuna ha la faccia tosta di nascondere che tale aumento è abbondantemente sepolto da quel fattore balzano e birichino che è il costo della vita (cresciuto, of course). Per i dettagli vi rimando ai rutti mascherati da opinione di certi economisti da seconda serata. Quello che voglio urlare dal mio fortino telematico è talmente semplice che la famosa casalinga di Voghera potrebbe scriverci su un trattato.
L’EURO CI HA RESI PIU’ POVERI. I PREZZI AL DETTAGLIO SONO RADDOPPIATI MENTRE I NOSTRI STIPENDI SONO STATI SEMPLICEMENTE TRADOTTI IN CIFRE EUROPEE, RIMANENDO INALTERATI.
Ok, ok… mi ricompongo e cerco di restar calmo fin quando non arrivo dal panettiere, al quale verso ogni giorno tre- quattro euro, sette-ottomila lire!
QUANTO PANE CI COMPRAVATE QUALCHE ANNO FA CON OTTOMILA LIRE?
Pardon.
Buona giornata.

L’odore delle notizie

Ora che la pace è andata in onda proviamo a dare una riassettata. Il caro Silvio ha chiesto scusa a sua moglie Veronica nella pubblica piazza mediatica. Qualcuno – tra gli incoscienti del giornalismo – ha criticato Ezio Mauro per aver scelto di pubblicare la missiva della signora: il direttore di Repubblica, che sarà una persona pacata, è riuscito a trattenersi dallo sbottare in un “ma siete rincoglioniti?” ed ha ricordato che una notizia è una notizia. Specie se fa il giro del mondo in poche ore. I giornali non sono opere pie, sono imprese che vendono un prodotto: teniamolo a mente, nel bene e nel male.
Su questo vorrei soffermarmi. Le notizie non hanno odore, anche quelle che ci irritano, che ci fanno scattare dalla sedia, che suscitano una risata o che ci annoiano. Le notizie sono ciò che accade intorno a noi. Sono certi giornalisti a stare fuori da ciò che accade intorno a noi. Sono quelli saccenti, quelli che ritengono di sapere sempre qualcosa in più rispetto a ciò che altri devono ancora raccontare. Sono quelli che si fanno, essi stessi, notizia. Sono incauti nel dare giudizi prima di aver finito di leggere (o di ascoltare) chi sa qualcosa più di loro e vendicativi con chi dimostra loro la fallacità della presunzione.
Silvio e Veronica possono aver fatto pace o imbastito una panzana politico-domestica alle nostre spalle. In ogni caso sempre notizia è, è stata, sarà.

Il male assoluto

Dopo aver letto\ascoltato (ieri a Matrix, nei giorni scorsi sui giornali) i verbali dei magistrati sulla strage di Erba credo che quella coppia di assassini rappresenti il male assoluto. E’ difficile cimentarsi nell’attribuzione di una gradualità a concetti estremi come il bene, il male, la gioia, il dolore, la felicità, la perfezione. Proprio per renderli più a nostra misura solitamente tendiamo a relativizzarli, a interpretarli per similitudine o per contrappasso. Insomma, usiamo come appiglio un termine di paragone e in questo modo li diluiamo giorno dopo giorno.
Nel caso dei coniugi Romano ci si trova davanti a una violenza cieca che partorisce fredde esecuzioni, nella totale assenza di rimorso, nel buio di un obiettivo da raggiungere senza futuro. Questo è il male assoluto. Una spranga e un coltello da cucina che frantumano e tagliano senza la guida di una coscienza, anche la più lurida. Non c’è l’illusione di una speranza: i criminali si muovono per fini immediati, urgenti, soldi, potere, consento estorto. Gli assassini di Erba non cercavano alcun vantaggio mettendo in atto il loro piano. E’ come se fossero stati collocati nel mondo per darci un messaggio: contro il male assoluto perdono e vendetta a nulla valgono.

Viva la radio (senza la tv)

Sono un appassionato di radio. Sia come strumento tecnico (a cominciare dalla mitica Tivoli) che come struttura che trasmette musica e notizie. Sin da bambino sono sempre rimasto affascinato da queste scatolette parlanti: chi ricorda le Voxon col supporto asportabile?
Onnivoro nella musica come nella scelta dell’emittente, ho il privilegio di aver vissuto sempre con una colonna sonora, quella della modulazione di frequenza appunto.
Al giorno d’oggi la radio va in tv. Da Radiodue a Radio Deejay, da Fiorello a Linus è spuntata una telecamera a raccontarci quel che fanno i nostri beniamini mentre stanno dietro a un microfono. E tutto questo non mi piace. E’ vero, si può scegliere, si può ascoltare come sempre “ad occhi chiusi”. Ma la sola idea che ci sia l’immagine a oscurare il fascino della radio mi dà un fastidio tremendo.
Boicottiamo queste iniziative, liberiamo i nostri beniamini dalla schiavitù della televisione. Alziamo i telecomandi in segno di guerra. Lottiamo per ridare agli eroi ordinari delle nostre anonime giornate il volto che solo noi possiamo inventare per loro.