Il male assoluto

Dopo aver letto\ascoltato (ieri a Matrix, nei giorni scorsi sui giornali) i verbali dei magistrati sulla strage di Erba credo che quella coppia di assassini rappresenti il male assoluto. E’ difficile cimentarsi nell’attribuzione di una gradualità a concetti estremi come il bene, il male, la gioia, il dolore, la felicità, la perfezione. Proprio per renderli più a nostra misura solitamente tendiamo a relativizzarli, a interpretarli per similitudine o per contrappasso. Insomma, usiamo come appiglio un termine di paragone e in questo modo li diluiamo giorno dopo giorno.
Nel caso dei coniugi Romano ci si trova davanti a una violenza cieca che partorisce fredde esecuzioni, nella totale assenza di rimorso, nel buio di un obiettivo da raggiungere senza futuro. Questo è il male assoluto. Una spranga e un coltello da cucina che frantumano e tagliano senza la guida di una coscienza, anche la più lurida. Non c’è l’illusione di una speranza: i criminali si muovono per fini immediati, urgenti, soldi, potere, consento estorto. Gli assassini di Erba non cercavano alcun vantaggio mettendo in atto il loro piano. E’ come se fossero stati collocati nel mondo per darci un messaggio: contro il male assoluto perdono e vendetta a nulla valgono.

Viva la radio (senza la tv)

Sono un appassionato di radio. Sia come strumento tecnico (a cominciare dalla mitica Tivoli) che come struttura che trasmette musica e notizie. Sin da bambino sono sempre rimasto affascinato da queste scatolette parlanti: chi ricorda le Voxon col supporto asportabile?
Onnivoro nella musica come nella scelta dell’emittente, ho il privilegio di aver vissuto sempre con una colonna sonora, quella della modulazione di frequenza appunto.
Al giorno d’oggi la radio va in tv. Da Radiodue a Radio Deejay, da Fiorello a Linus è spuntata una telecamera a raccontarci quel che fanno i nostri beniamini mentre stanno dietro a un microfono. E tutto questo non mi piace. E’ vero, si può scegliere, si può ascoltare come sempre “ad occhi chiusi”. Ma la sola idea che ci sia l’immagine a oscurare il fascino della radio mi dà un fastidio tremendo.
Boicottiamo queste iniziative, liberiamo i nostri beniamini dalla schiavitù della televisione. Alziamo i telecomandi in segno di guerra. Lottiamo per ridare agli eroi ordinari delle nostre anonime giornate il volto che solo noi possiamo inventare per loro.

Calvino

Parliamo di libri. In questi giorni celebro un anniversario: quindici anni fa leggevo “Le lezioni americane” di Italo Calvino. E’ un libro non semplice, di quelli che possono suscitare reazioni opposte (e nel link che vi propongo ne trovate un discreto assortimento). Me lo diede un vecchio amico che adesso non si ricorda nemmeno più di avermi fatto quel regalo e lo lessi in un sorso durante una vacanza sulla neve. L’opera di Calvino, che è anche tra le più citate a sproposito, mi prese per i capelli e mi fece capire qualcosa in più sulla Letteratura e – udite udite!- sulla vita. So che parlare in questi termini rischia di essere un’irritante autocelebrazione quindi la chiudo qui. “Le lezioni americane” sono state il mio giro di boa.

Amarcord

Parte come una discussione oziosa, arriva come un problema dei nostri tempi. Il tempo pazzo, il caldo d’inverno. I meteorologi, che pure sciorinano statistiche per non cadere in crisi d’astinenza, dicono che questo è l’inverno più incredibile da quando esistono rilevazioni attendibili. Nel mio piccolo, ricordo l’infanzia col cappotto e i maglioni a collo alto, la neve sulle montagne in questo periodo dell’anno, la pioggia che mi impediva di giocare a pallone per strada, le scarpe inzaccherate. Quando telefonava un parente da Milano, gli si chiedeva quasi gridando (effetto psicologico per annullare la distanza): che tempo fa da quelle parti?
Anche le pubblicità erano in linea con l’andamento meteorologico. Auto col “tigre nel motore” sgommanti in curve bagnate, amari serviti in biccheri scolpiti nel ghiaccio, famiglie raccolte intorno al camino. Oggi il miglior superalcolico è quello “servito nei peggiori bar di Cuba”, nelle stazioni di benzina si va per lasciarsi cullare (e addormentare) dal gestore, le famiglie pranzano all’aperto tutto l’anno.
La scomparsa delle mezze stagioni era solo un avvertimento. Le hanno rapite tutt’e quattro.

Elogio di un programma che non mi piacque

Stasera tornano in tv Cochi e Renato. A 34 anni dall’esordio de “Il poeta e il contadino”, quella che un tempo era nota come la “coppia del Derby” si ripresenta al pubblico televisivo. Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto sono il simbolo di un umorismo nordico e nonsense che ho poco apprezzato. Ricordo che da piccolo preferivo Franco e Ciccio, forse per questioni campanilistiche, forse per una maggiore propensione alla risata grassa. Eppure la coppia padana ha saputo conservare, nel suo spopolare come nel suo rarefarsi, nel suo perdersi come nel suo ricostituirsi, un garbo e uno stile d’altri tempi. “Il poeta e il contadino” era, per come lo ricordo, uno spettacolo noiosissimo eppure civile, elegante. Battute e allusioni non ne mancavano, ma tutto era avvolto in una confezione di gran dignità. Era la tv di Bernabei quella, dove i centimetri delle Kessler spostavano milioni di telespettatori. Era una tv dove c’era chi, come Cochi e Renato, faceva cantare all’Italia intera: “E la vita, la vita… la vita l’è bela. Basta avere l’ombrela…”
Una grande illusione. Ma elegante.

Influenza

Fiaccato da un’influenza feroce, assisto allo scorrere di alcune immagini alla tv. Quando ho la febbre mi piace tenere il televisore acceso. E’ una questione di incoscienza, già oltre i 37 gradi mi sento (più) rimbecillito. La programmazione mattutina è quella che meglio si attaglia al mio status di malato esagerato: rubriche di cucina, di salute, di sport, di animali, tutte imbastite con una tecnica che le rende praticamente identiche. Se uno si distrae e riprende il collegamento dopo dieci minuti, non si perde niente perché non c’è un briciolo di diversità. Ieri sono passato da Giurato a Magalli attraverso Licia Colò senza distinguere un programma dall’altro. Insomma, ho mandato il cervello in vacanza. Come dimostrano queste righe.

Fantozzi e la scienza


Uno studio del professor Wayne Hochwarter dell’università della Florida ha accertato che, in un ufficio qualunque, è l’arroganza del capo la causa principale della fuga dei dipendenti vessati. Non so chi abbia finanziato questa bizzarra ricerca, ma ho qualche idea per le prossime inchieste. Come mai il netturbino pigro lascia le strade sporche? Perché le persone brutte, malate e povere sono in prevalenza più tristi di quelle ricche, belle e sane? Chi sono i genitori di Qui Quo Qua? E’ nata prima la frittata o il brodo di gallina?
Chiunque lavori in un’azienda che non sia quella del professor Hochwarter conosce i difetti che nella maggior parte dei casi affliggono chi ricopre un ruolo di comando. Nella mia esperienza non basterebbe un’enciclopedia multimediale per contenere la tabella introduttiva all’argomento. Dare un rigore scientifico all’arroganza del potente (spesso improvvisato tale) corrisponde a includere Fantozzi nel collegio dei docenti di un’università. Fossi Paolo Villaggio querelerei.

Giallo a Las Vegas

Con l’energia cinetica di una notizia fondamentale si schianta sul mondo dell’informazione il resoconto della notte di capodanno di Britney Spears a Las Vegas. Il nodo che divide l’opinione pubblica è il seguente: quando l’hanno trovata dormiente sul divano di un night, la cantante era ubriaca o semplicemente stanca?
E’ un giallo.
La principessina della pop music (e che music!) raccoglie ormai gran parte dei suoi consensi tra gli erotomani di internet che la considerano un simbolo sessuale irresistibile. Del resto la fama non è immeritata: la Spears divide le sue notti brave con un’altra artista impegnata, Paris Hilton, e molto spesso preferisce non indossare le mutande sotto la minigonna, per la gioia (anche solitaria) dei paparazzi. La Spears (assieme alla sopracitata Paris Hilton, di cui dovremo occuparci presto perché il personaggio merita) è la più cliccata al mondo grazie all’impegno profuso nei night, in estenuanti notti di slinguazzate omo\bisex e fughe in Rolls Roice.
Se a Las Vegas era ubriaca si è trattato di un infortunio sul lavoro.

Col cappio al collo

Come qualche illustre commentatore osserva sui giornali di oggi, la condanna a morte di Saddam ha fatto sì che l’Italia si ritrovi unita in un coro a difesa della vita del dittatore. Il sentimento di unità nazionale è effettivamente molto raro da riscontrare se non in certe vecchie canzoni patriottiche o in qualche volume impolverato: non ci trovo nulla di strano, viviamo così distanti l’uno dall’altro che solo temi forti o appassionanti possono far sì che da cocci gli italiani tornino a farsi vaso.
Ho già affrontato la questione dei dittatori e del sano odio che suscitano in me. Il concetto di sacralità della vita è strettamente legato a quello di giustizia. Se odio qualcuno che ha fatto del male, voglio che costui paghi fino all’ultimo giorno di permanenza su questo mondo. E dal momento che Saddam ha molto da espiare ritengo che la vera giustizia, feroce e implacabile, debba pesare sul suo groppone per anni, più a lungo possibile. Non sarà un cappio al collo a chiudere la partita: più che al patibolo, il rais iracheno si avvia al martirio. Ed è una sorte che non merita. Giusto sarebbe togliergli quest’ultimo palcoscenico, condannarlo ad un’anonima e sicura prigionia, curarlo e trattarlo da ergastolano. Eradicarlo dai simboli di cui si è appropriato e restituirlo alla nuda terra senza altro diritto che quello di sopravvivere alla sua stessa caduta.

Democrazia

«Sei tu» la Persona dell’Anno 2006 secondo la rivista Time. Il settimanale, pubblicando in copertina un computer con uno specchio al posto dello schermo, ha scelto così di premiare tutti quelli “che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale” usando Internet per diffondere parole, immagini e video.
Sarà che la parola democrazia mi emoziona ancora, sarà che l’idea di un premio cumulativo agli anonimi internauti è vernice coprente sull’ingiusta fama di segaioli sfigati, ma vi confesso che questa del Time mi sembra proprio una bella notizia.
E’ vero che su YouTube o su MySpace non c’è sempre roba da Nobel, ma è pur vero che lì tirannia e libertà non si spacciano l’una per l’altra.