Buona Pasqua e sorridiamo

Girano sul web molti vocabolari taroccati. Sono frutti d’ingegno che hanno un fine nobile: strappare un sorriso. Contribuisco alla causa proponendovi alcune tra le voci meno note.
ADDENDO: urlo della folla quando a Nairobi stai per pestare una merda
APPENDICITE: attaccapanni per scimmie
CERBOTTANA: cervo femmina di facili costumi – siciliana
CULMINARE : fare uso di supposte esplosive
ELETTROPOMPA: novità bolognese a luci rosse
FOCACCIA: foca estremamente malvagia
MELODIA: preghiera di una vergine
PARTITI: movimenti politici che nonostante il nome sono ancora qui
PREVENIRE: soffrire di eiaculazione precoce
REDUCE: sovrano con tendenze di estrema destra
SCORFANO: pesce che ha perduto i genitori
STRAFOTTENTE: dicesi di persona di grandi qualità amatorie
TONNELLATA: marmellata di tonno
ZONA DISCO: parcheggio per gli UFO
Buona Pasqua!

Mi sembra semplice

Prendo spunto da una recensione di Mimmo Cacopardo all’ultimo romanzo di Simonetta Agnello Hornby per dire la mia sullo strano caso dei critici distratti. Non voglio pensare male – accordi tra giganti dell’editoria, carboneria, versamenti estero su estero – ma nemmeno fare la parte del finto tonto. Mi pare che la verità sia molto semplice: parlare male di un prodotto (libro, cd, programma tv, film) costa fatica. Argomentare una stroncatura, specie se l’imputato è un personaggio che ha largo seguito, significa sbracciarsi e rischiare. E il nuoto controcorrente è uno sport per pochi.
Negli anni Ottanta quando mi capitò di recensire uno degli ultimi concerti di Chet Baker (nella foto) scrissi che un mito non poteva finire così, a soffiare quattro note flebili davanti a venti spettatori svogliati e a un giornalista imbarazzato. Baker fece un concerto penoso: tirai il fiato e lo scrissi con serena ferocia.
Non sono stato coraggioso, avevo semplicemente voglia di lavorare.
Il modello televisivo oggi è Vincenzo Mollica. Tutto è unico, tutto è meraviglioso, tutto è imperdibile se passa dalle sue mani. Il rischio è l’appiattimento dei gusti del pubblico, le cui asperità vanno invece coltivate, custodite, stimolate. Ci vogliono lettori-ascoltatori-spettatori svegli e critici per stimolare alla composizione. Ci vogliono incoraggiamento per chi parte bene, intransigenza per chi parte a spinta, applausi per chi fa un buon lavoro, fischi per chi lo fa di merda.
Mi sembra semplice.

Il trasloco

A causa degli incastri della vita sono costretto a completare un trasloco nell’attesa che un altro si compia nel giro di qualche mese. Vivo tra le scatole, ho una porzione di vita imballata, ho più confidenza col nastro adesivo che con un piatto di pasta. Non sono mai stato un giramondo e quando ho dovuto affrontare degli spostamenti l’ho fatto sapendo di dover mettere nel conto che avrei perso qualcosa. Proprio perdere, sì. A ogni trasloco ho smarrito cose che sono diventate fondamentali proprio perché non le ho più trovate. Invece in un caso – me lo ricordo bene – ho gridato al miracolo quando dal fondo di un cassetto sono riemersi dei fetidi pantaloncini che ritenevo si fossero smaterializzati secoli (e appartamenti) prima. Qualcuno mi dovrà pur capire, con l’età che avanza il valore dei ricordi lievita.
Mettiamola così: il trasloco è un traghettamento dell’anima, dal certo all’ignoto, dalla consuetudine all’estraneità, da un aroma a un odore.
Oppure così, in modo più prosaico: fare le scatole rompe le scatole.

A telecamere spente

Il mullah Dadullah, intervistato da Sky, ha detto che se il governo di Hamid Karzai non tratterà con i talebani e rilascerà due detenuti, Adjamal Nashkband, l’interprete di Daniele Mastrogiacomo, sarà ucciso.
La vicenda è nota, le polemiche sulle trattative per la liberazione del giornalista di Repubblica non si sono ancora spente. Si potrebbe aprire un nuovo fronte di riflessione sull’intervista di Sky: quanto pesa il diritto di cronaca quando quel diritto diventa un’arma di ricatto? E’ giusto mostrare in mondovisione un delinquente tagliagole che pontifica sulla politica internazionale (gli inglesi, Bush, Karzai, l’Italia)? Aprendo al talebano questa immeritata finestra di comunicazione non si rischia di legittimarne un ruolo sociale? Il senso di offesa che mi sono trovato dentro dopo aver visto e ascoltato il mullah Dadullah non ha un’origine né una destinazione politiche: in parole povere non credo che la mia sia un’indignazione di destra o di sinistra.
E’ giusto dare la parola a tutti per spiegare, raccontare, dissentire, denunciare. Ma davanti alla violenza immonda di un tale che si presenta in tv e minaccia di uccidere un essere umano non si devono chiudere gli occhi. Basta spegnere le telecamere.

Uova e colombe

Cerco di fare una cosa utile. Il Codacons ha dato delle indicazioni per riconoscere le uova di cioccolato e le colombe pasquali migliori. Riassumo per voi (se vi fidate).
Uova. “Il cioccolato per essere ottimo dovrebbe contenere, nell’ordine: cacao in polvere e burro di cacao (pasta di cacao), zucchero, latte in polvere, aromatizzanti naturali. Il burro di cacao è l’elemento più importante: verificate quindi a che punto della lista si colloca. Se trovate scritte strane, del tipo, ‘contiene grassi di sostituzione’ abbandonate l’uovo – avverte il Codacons -. Al palato è facilissimo riconoscere il cioccolato puro: si scioglie in bocca e scivola via. La tendenza a sciogliersi è direttamente proporzionale al contenuto di burro di cacao ed inversamente proporzionale al contenuto di zucchero, che spesso viene messo in eccesso per aumentare il peso. L’aspetto è lucido, il profumo aromatico, al tocco sembra freddo e si scioglie facilmente in mano”.
Colomba. “Una colomba di qualità superiore dovrebbe contenere, nell’ordine: farina, zucchero, uova, burro, canditi. In particolare le uova devono essere di categoria A (no all’albume in polvere), il burro, da preferire decisamente alla margarina, deve essere in quantità non inferiore al 16%, mentre i canditi non devono essere meno del 15% (tra 15 e 20%). Il latte è facoltativo. Se c’è, è preferibile che non sia scremato e va decisamente evitato quello in polvere. E i conservanti? Meglio che non ci siano – consiglia il Codacons -. Se si usano materie prime di qualità non c’è bisogno di conservanti per arrivare alla data di scadenza. La certificazione di un ente indipendente che attesta che il prodotto è ogm-free è indice della serietà della ditta. La lievitazione è importante anche per valutare la sofficità. Verificate la crescita del dolce rispetto al pirottino (l’involucro di carta con bordo pieghettato usato come contenitore): la colomba non deve essere piatta. Nell’impasto i buchini prodotti dalla fermentazione non devono essere delle caverne. La crosta non deve essere troppo scura. Il colore dell’impasto deve essere dorato, la glassatura consistente. Per i canditi: più sono grandi e maggiore è la loro qualità.”

Nulla di insipido

Ricevo una mail da Lorenzo Matassa. L’argomento è curioso, merita un post.

“Si fa presto a parlare di sale…
Ma sapete quante incredibili varietà nasconde la parola?
C’è il sale di Murray River, tenero color albicocca.
C’è il sale dell’Isola di Molokay, nero come la pece.
C’è il cristallo di Alea, prezioso per il Sushi.
C’è quello di Cervia che si sgranocchia con il cioccolato di Grenada e che rende il dolce più amarostico.
C’è il sale chiamato Diamante del Cashmere, raro salgemma tratto in alta quota himalayana.
C’è il grigio di Guérande, detto caviale del mare, perché contenendo ottanta minerali in un solo granello, trasforma ogni opera culinaria in qualcosa di raro ed insuperabilmente gustoso.
C’è il British di Maldon, che ha scaglie sottilissime a forma di piramide, preferito dalla Regina d’Inghilterra.
C’è quello hawaiano, fiocchi impalpabili di arancio intenso ricordano l’aroma degli atolli battuti dal vento.
C’è il Salty Cup che con peperone, cetriolo e popodorino frullati crea il cocktail famoso in tutto il mondo.
C’è il sale dell’Isola di Agoni, vicino Okinawa, reso celebre dal racconto di Koshin Odo, filtrato dall’acqua attraverso quindicimila rami di bambù durante la luna piena.
C’è il sale Rio Formosa dell’Algarve, setacciato grano dopo grano a mani nude.
C’è il Maras peruviano, raggranellato sulle Ande a 3.000 metri d’altitudine.
Ma se si va ancora più in alto si troverà il Mirror della Bolivia, raccolto a circa 3.700 metri (attenzione, usatelo con accortezza perché ha effetti molto simili alla pianta che, in quelle altitudini, crea l’ebbrezza psicotropa…)
C’è il Fleur de Sel Chardonnay della California che viene affumicato con la legna delle botti del vino.
Ma se essiccato con il legno d’olmo rosso diventa un altro sale che volgarmente è chiamato Pacific Salt.
Il Viking Salt è, invece, essiccato con il pino norvegese.
C’è il Mothya, che non vi dirò da dove viene…
Vi auguro che la vostra vita non sia mai insipida.”
Mi associo.

I simboli che servono

C’è un mormorio che cresce dopo la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. In sostanza, passata la paura, c’è chi esprime il seguente dubbio: perché per lui si è scesi in piazza, si sono raccolte firme, si è andati alla mobilitazione generale e per altri connazionali in analoghi guai ciò non è accaduto?
E’ un’ antica questione, quella delle vittime di serie A e di serie B. E non credo che sia un fenomeno prettamente italiano. C’entrano la visibilità dei personaggi, il loro essere (anche inconsapevolmente) simboli, la platea di cui la politica necessita, le eterne ingiustizie della vita.
Non c’è assolutamente da lamentarsi se nel nome di un reporter rapito dai talebani, che non sono proprio la Banda Bassotti, si muove una gigantesca macchina di solidarietà. A tutti piacerebbe che lo stesso impegno e la medesima sensibilità comune fossero manifesti per ogni italiano in grave difficoltà (leggasi rapimento, detenzione illegittima, cruenta impossibilità di rimpatrio e via dicendo), ma sarebbe come certificare che tutti gli uomini pesano socialmente alla stessa maniera. Il che, come sappiamo, non è vero. E’ naturale eleggere simboli in un mondo che ha bisogno di simboli per riconoscersi. E’ l’unico modo che ci resta per riempire le piazze nel segno di qualcosa di sensato e utile.

Divieti minuscoli

Due provvedimenti di divieto in Italia catalizzano polemiche in questi giorni. L’Agenzia per le Comunicazioni (non so perché ma già il nome dell’ente mi fa rabbrividire) ha vietato il porno in tv anche nelle ore notturne. L’Autorità Garante per la Privacy (oggi maiuscoli per tutti) ha vietato la diffusione di notizie non essenziali sulla vita sessuale. In teoria sarebbe difficile tirare fuori dal cilindro una critica all’essenza dei provvedimenti che tendono a rinforzare alcune norme già esistenti. Ma l’inghippo tipicamente italico si vede subito. In entrambi i casi infatti si rimanda a non meglio identificati poteri discrezionali. Traducendo: c’è un divieto ma c’è anche chi per autorità può farlo cadere in particolari occasioni. Nel Paese degli occhiali con le lenti di mortadella e dei burini che se la toccano con la pinzetta il pericolo di un’ondata censoria o, ancor peggio, corrotta cresce al livello massimo. Non siamo popolazioni da provvedimenti flessibili, innanzitutto per le classi politiche che abbiamo espresso: siamo scolaretti furbi che quando la maestra va in bagno si annegano di razzetti e palline di carta. Non ci servono Agenzie e Garanti Maiuscoli, ma solo sani divieti minuscoli e uguali per tutti.

Marameo!

C’è un vantaggio a leggere storie e notizie online: non si consuma carta. E la carta, soprattutto quella patinata delle belle rivistone di moda che si pagano al chilo, si ricava dalle foreste. E’ di ieri un appello di Greenpeace, cui volentieri mi associo, per salvare dalla distruzione le foreste primarie della Finlandia. Stora Enso a qualcuno può ricordare il cognome e nome (con refuso) di un emigrato meridionale; in realtà è un colosso mondiale della carta. Questa holding finnico-svedese risulta essere la principale acquirente di fibre di legno dall’agenzia statale Metsähallitus, che sta distruggendo le preziose foreste affidatele. Con il legno proveniente da queste foreste, Stora Enso produce carta per riviste stampate in tutto il mondo, Italia inclusa, e risme da fotocopie. Pochi giorni fa 240 scienziati finlandesi hanno chiesto di fermare il taglio nelle foreste naturali del Paese. Secondo voi li hanno ascoltati o gli hanno fatto marameo?
Ecco, ci siamo capiti.
Se qualcuno vuole restituire il marameo alla multinazionale e\o alla agenzia statale di cui sopra clicchi sui rispettivi ipertesti e segua la strada verso un “about us”, lì troverà qualche email con cui sfogarsi.
Ps. Mi sembrava inopportuno affibiare a questo post l’etichetta “erbaccia”, trattandosi di un argomento “vegetale”. Ho deviato verso le “certezze” che derivano dalla vostra sensibilità.

Elogio di Pippo

Nella tana di montagna nella quale mi sono ritirato per una settimana c’era un’antenna parabolica scassata che mi ha elargito qualche frame di Raiuno. Per giorni ho attribuito a questa rarefazione di segnale una strana impressione: mi sembrava che il Festival di Sanremo quest’anno funzionasse!
Così ieri pomeriggio, appena rientrato in Italia, mi sono ritrovato – per la prima volta in una ventina d’anni – davanti alla tv per verificare la fondatezza di quell’impressione.
Avevo capito bene, il Festival quest’anno ha fatto il suo mestiere, quello di regalare canzoni italiane, di far discutere dei testi, di raccontarci di piccole polemiche e grandi sogni, di fare spettacolo insomma. E io, dopo il mio fallace vaticinio di due mesi fa, dovevo fare pubblica ammenda.
Detto fatto.
Pippo Baudo è un gran professionista, solido e tenace come solo chi ha radici ben salde sulle assi di un palcoscenico sa essere. E gli si perdona anche la spudorata furbizia di proporsi in diretta come esternatore nudo e puro, apolitico e apartitico. Baudo sa bene che il suo ruolo non è più quello di semplice presentatore. Da condottiero unico dell’ammiraglia della Rai che ha navigato con grande difficoltà nel mare di Sanremo conta più di un segretario di partito: un suo ammiccamento catodico sposta simpatie e voti, un suo starnuto in diretta fa correre al fazzoletto milioni di telespettatori. E’ la legge della popolarità. Il Festival non ha destino senza l’abile manipolazione di Pippo che, come tutti gli eroi, è un misto di coraggio e ruffianeria. Il resto – i Del Nocini, i politicuzzi, i Landolfini, gli Al Banucci – sono fragili pioli di una scala buona per finire in legna da ardere, il prossimo inverno. Se verrà.