Vila Chā – Pòvoa de Varzim
“Vai a nuoto?”. L’anziano ciclista mi guarda e ride. Capisco il senso di quella domanda con qualche secondo di ritardo e scoppio a ridere pure io.
Avevo sbagliato strada e mancato in pieno un ponte: la strada davanti a me si chiudeva inesorabilmente nel fiume (questa zona è piena di fiumi e canali che finiscono nell’oceano). Grazie alle indicazioni del simpatico cristiano sono tornato indietro e ho recuperato il bivio perso.
Effetti collaterali della distrazione. E io in quel frangente ero distratto perché venivo da un’esperienza intensa e non mi ero ancora ripreso: la camminata a piedi nudi sulla battigia, con l’acqua fredda dell’oceano quasi alle caviglie.
L’avevo preparata bene, va detto.
Siccome camminare sulla sabbia è faticoso, e con uno zaino sulle spalle lo è ancora di più, ho fatto in modo da far coincidere questa tappa, in cui c’era un tratto di spiaggia che mi piaceva particolarmente, con le esigenze di praticità. Ergo l’ho accorciata, spostando in avanti (e conseguentemente forzando) la tappa di ieri. In pratica ieri mi sono caricato di qualche chilometro in più per avere mano, anzi piede libero oggi.
Nulla è per caso quando hai settecento chilometri da portare a casa (e per di più a una certa età).
Camminare sulla battigia è divertente, o romantico a seconda delle propensioni e degli annessi, o very cool se lo fai per una decina di metri e in costume (magari vista Twiga). Ma se quei metri diventano chilometri, se sulle spalle hai almeno undici chili e gli spallacci dello zaino hanno già scavato la loro tana nelle clavicole le cose cambiano.
Senza tenere conto – lasciatemi aprire una breve parentesi di Superquark del Cammino – che spesso la sabbia non è proprio fina, che ci sono pittoresche conchiglie che aspettano i tuoi alluci al varco, e che la tua casa sul groppone rispetto alle tue caviglie è come lo Stato per Matteo Messina Denaro, il nemico giurato. Senza tener conto che questa sabbia sta a metà, per teoria, tra quella del deserto che adora il nulla e quella della spiaggia che accarezza i corpi.
Anche abbandonata la battigia – perché la passione per la natura e la full immersion in essa talvolta sconfinano nell’autoerotismo e un punto va messo – le passerelle in legno non è che concedano massima tranquillità. In questa zona infatti si snodano tra le dune (che mia amica Tiziana, biologa, definisce “un habitat meraviglioso e ormai residuale”… a me sembrano collinette e basta) e spesso finiscono per essere sommerse dalla sabbia. Insomma si cammina sulla sabbia smossa, non compatta, la più complicata e snervante.
Alla fine i quindici chilometri di oggi, della tappa che doveva essere la più breve dell’intero Cammino portoghese, valgono in termini di fatica almeno il doppio secondo il famoso teorema.
Ora mi godo la cena in ristorante a Pòvoa de Varzim dove tra i tavoli lavorano i figli del titolare e con fidanzati/e annesse (che ovviamente parlano tutti l’inglese). Una gioia di gioventù, entusiasmo, good vibrations che già da sola vale almeno metà del conto.
P.S.
Domani vi racconto di wc, docce e biblioteche. Incredibili le biblioteche.
17 – continua
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