L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
A Palermo dici elezione e leggi confusione. Nella corsa alla poltrona di sindaco – che poi di fatto è solo una sedia tutt’altro che comoda – si leggono in filigrana vizi e contraddizioni di questa città. Una città dove pianificare è il refuso del panettiere e dove sarebbe saggio uniformarsi al vecchio detto: meno promesse, meno delusioni.
Diciamo subito che finora la politica non ha prodotto un bel nulla, a parte i “campi larghi”, i “pressing”, i “veti incrociati”, le “sfide interne”. Tutte frasi dalle quali, come in un gioco della “Settimana enigmistica”, possono scaturire infinite possibilità. L’esercizio più divertente è quello di “dimenticare Orlando” senza dimenticarlo, magari cercando di estorcergli qualcosa che sta a metà tra il testamento e l’investitura. Ma è nei candidati fai da te che la questione rischia di diventare appassionante, almeno al confronto con le strategie sbadiglianti dei partiti. Dalla sovranista no-pass che ha messo il Covid in una narrazione molto personale, al tale che immagina di costruire mega parcheggi sotterranei e sopraelevati (a conferma che il vero problema di Palermo resta il traffico), dal sopravvissuto della società civile che si muove come il soldato giapponese emerso dalla giungla trent’anni dopo la fine della Seconda guerra, all’ex direttrice di carceri che spiega come il modello Ucciardone si adatti questa città (con ampia libertà di metafora).
La materia è talmente rarefatta che ci si può scherzare su e al contempo parlarne seriamente senza che nessuno noti la differenza. Al momento l’unica indicazione seria arriva da un comico come Corrado Guzzanti: “Se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli questi benedetti elettori.”