Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Certe vergogne siciliane hanno un problema di datazione: prima dell’avvento del web; dopo il web ma prima dei droni (detta anche Era di Mezzo); dopo i droni. La questione non è di poco conto e per capirne la reale portata serve qualche esempio.
Siamo in territorio di Realmonte, che per praticità di narrazione scegliamo come Comune ideale per raccontare di scempi ecologici e di tempi di reazione.
Se, fino a un anno fa, a Scala dei Turchi si osservava la falesia dal mare, si restava colpiti non dal magico candore della marna bianca, ma dall’incombere di due ecomostri ai lati della scogliera: un albergo e un complesso di villette, tutti costruiti con tanto di inaudita licenza edilizia. Per arrivare, attraverso denunce e inchieste giudiziarie alla demolizione, ci sono voluti 25 anni. Ma eravamo nell’era antecedente l’avvento del web.
Rimaniamo lì, alla base degli scheletri di quelle ville. Un anno fa, quindi in piena Era di Mezzo, un turista fotografa la collina incriminata ormai libera dai mostri. Poi torna a casa e, guardando bene l’immagine, scopre che in cima all’altura sta sorgendo un altro complesso turistico. Pubblica l’immagine su internet e scoppia il caso. Il Comune ha un sussulto – di vita, di passione civile, di dignità – e revoca la licenza edilizia. Tempo di reazione, un mese circa.
Spostiamoci di qualche chilometro, ma rimaniamo in zona. L’altro giorno un drone ideato da un giovane agrigentino, Massimo Alajmo, ha ripreso lo spettacolo vergognoso delle auto parcheggiate sulla spiaggia dell’Oasi delle Pergole. E’ scoppiato il putiferio. Su Repubblica.it lettori da ogni parte del mondo hanno dato sfogo alla loro indignazione. Sicché, in un tourbillon di atti, comunicati, peana e minacce, la Regione e il Comune hanno annunciato di aver rimontato le strutture a protezione della spiaggia che “qualcuno aveva smontato e rimosse”. Tempo di reazione, due giorni.
Questi esempi ci presentano un vantaggio e lasciano intravedere una controindicazione. Il vantaggio è quello della migliore circolazione delle idee che grazie a internet si traducono, nello specifico, in denunce circostanziate e in risposte più celeri. La controindicazione è legata all’illusione di un web che risolve ogni problema, che identifica, accusa e condanna tutto in un clic.
Non bisogna essere né sociologi né ingegneri informatici per capire che, dalle nostre parti, l’inciviltà non teme la banda larga. Il menefreghismo del troglodita che parcheggia il suv a un metro dal mare – non si sa se confidando più nella misericordia del dio delle onde o nell’affidabilità dell’app del meteo sullo smartphone – è lo stesso del galantuomo che copre di rifiuti l’arenile di Mondello. Non sarà un post su un blog o una foto su Facebook a suscitare in lui un barlume di pentimento, ma una bacheca virtuale ha il vantaggio di facilitare il lavoro di chi quel pentimento potrebbe indurlo, a termini di legge.
Sin qui potrebbe sembrare che le vergogne siciliane siano identificabili in una congerie di vizi privati, che sotto forma di cartaccia, cicca, pneumatici e tubi di scappamento ammorbano la vita e gli spazi di tutti noi.
In realtà dall’Era di Mezzo in poi, la Rete ci ha mostrato, amplificandole, molte imperfezioni del sistema pubblico. E così la foto del 2008 in cui si vedono ben dodici persone impegnate per cambiare una semplice targa nel Giardino dei Giusti di via Alloro a Palermo è diventata l’icona degli sprechi. Così come tutti i panorami con immondizia, tutti i monumenti con cassonetto stracolmo affollano i siti internet e le nostre coscienze, ricordandoci che la vocazione turistica non prevede la tortura del turista. A meno di non fare come quelli di Social Street Palermo: una community di migliaia di volontari che vegliano telematicamente sullo stato di salute dei quartieri cittadini.
Certo, se un appassionato di arte si fa migliaia di chilometri per ammirare la Venere di Morgantina ad Aidone e trova il museo chiuso, bisognerà sperare che sfoghi l’ira sul suo blog piuttosto che sul custode che è rimasto a casa. Se al museo archeologico Baglio Anselmi di Marsala da un mese non funzionano i bagni, si dovrà sperare nella clemenza dei visitatori affinché sommergano i responsabili di critiche e non di qualcos’altro. Se la denuncia è il male minore, insomma, vuol dire che siamo messi davvero male. (…)
Ottmo pezzo, sacrosante osservazioni di chi non spera più
in un salto di decoro, di civile vivere da parte degli autoctoni:
una rassegnazione allo scempio, al disamore che gli indigeni
pongono in essere nei confronti del proprio territorio.