
“Fermi! Tanto non farete mai centro.
La Bestia che cercate voi,
voi ci siete dentro”.
Giorgio Caproni
Una giovane modella è stata divorata da un organismo nemico. Le hanno amputato piedi e mani. La morte è arrivata dopo l’assalto al castello. Parabola ghiotta e morale del nostro essere infinitesimali e finibili, tra le braccia di una sorte imperscrutabile. Io conosco un’altra storia un po’ così. Solo che alla fine nessuno muore, o chissà.
Lui si chiamava Enzo e suonava il pianoforte da Dio allo Zen. Un Dio misericordioso si accorse di quel talento fiorito tra i padiglioni e si fece vivo nella persona di un munifico mecenate che volle sostenere gli studi musicali di Enzo, pagandogli il conservatorio. Il metronomo cominciò a segnare tempi diversi, giornate finalmente accordate. Lo spartito cancellò la sinfonia dello spaccio e la sostituì col quartetto di un’ignota felicità.
C’è sempre una stonatura, un organismo nemico che riporta la gioia alla sua evidenza di cenere mortale. Enzo si stancò delle dita abbandonate sulla strada dei tasti. Tornò alla droga, tornò in carcere. Lasciò il piano in cantina. Sarebbe facile dire che lo lasciò nel buio con tutti i suoi sogni. Chissà se fu davvero mai così. Ora, Enzo – così mi dicono – è uno che si sta facendo avanti allo Zen, un grosso nome. Non ha rimpianti apparenti. Forse è il nostro romanticismo inguaribile che ci spinge a condire tutto con la nostalgia. Sei sempre tu ciò che ti mangia.
Sei sempre tu ciò che ti mangia… Bello!
Non era un vero talento il suo. I talenti salvano.
Si muore ogni giorno di più. Si muore sempre.
La morte ci accompagna.
Scusate.. prima non si è allegata
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
@a.b.c.: sarà che vivo un periodo particolarmente felice della mia vita, ma preferisco farmi cullare dalle parole di Whitman.
Ahimè! Ah vita! Di queste domande che ricorrono,
degli infiniti cortei senza fede, di città piene di sciocchi,
di me stesso che sempre mi rimprovero (perché chi più sciocco
di me, e chi più senza fede?)
di occhi che invano bramano la luce, di meschini scopi,
della battaglia sempre rinnovata,
dei poveri risultati di tutto, della folla che vedo sordida
camminare a fatica attorno a me,
dei vuoti ed inutili anni degli altri, io con gli altri legato in tanti nodi,
a domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre: che cosa
c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita?
Risposta:
che tu sei qui, che esiste la vita e l’individuo,
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso.
P.s. Mi scuso per la pessima traduzione, su internet non ho trovato di meglio e non ho sottomano l’originale. Credo che il senso si colga ugualmente…
La vita e la morte sono i due estremi di noi stessi. Dentro questo filo c’è tutto. C’è la gioia e la felicità, c’è la tristezza e il morbo che ci uccide ogni giorno di più
Come dire.. l’alfabeto dei sentimenti.