Mi è capitata tra le mani una poesia di Bukowski sulla vita di un artista.
(La prossima volta che ascolti Borodin ricorda che era solo un farmacista che scriveva musica per distrarsi; la sua casa era piena di gente: studenti, artisti, barboni, ubriaconi, e lui non sapeva mai dire di no. La prossima volta che ascolti Borodin ricorda che sua moglie usava le sue composizioni per foderare la cuccia del gatto o coprire i vasi di latte acido; aveva l’asma e l’insonnia e gli dava da mangiare uova à la coque e quando lui voleva coprirsi la testa per non sentire i rumori della casa gli lasciava usare soltanto il lenzuolo; per giunta c’era sempre qualcuno nel suo letto – dormivano separati quando proprio dormivano – e siccome tutte le sedie erano sempre occupate spesso lui dormiva sulle scale avvolto in un vecchio scialle; era lei a dirgli di tagliarsi le unghie, di non cantare o fischiare di non mettere troppo limone nel tè di non schiacciarlo col cucchiaino. Sinfonia n. 2 in si minore Il principe Igor Nelle steppe dell’Asia centrale…)
Mi viene voglia di scrivere una parafrasi blasfema, ma per me essenziale.
La prossima volta che leggi un bravo giornalista, ricorda che è sicuramente un precario, che magari vorrebbe sposarsi ma non può, che è entrato nel mestiere per salvarsi l’anima ed ha scoperto che è difficilissimo farlo, se devi salvarti pure il culo. La prossima volta che leggi un giornalista bravo, ricorda che un tempo amava le parole, ma adesso ha smesso perchè non crede più al mondo e all’onestà. Perciò ha cominciato a guardarle come si guardano vecchie puttane che non ti incantano. La prossima volta che leggi, ricorda che il precario dei giornali scade come le mozzarelle e che ha tanti padroni. L’editore è il suo padrone assoluto, colui che può prolungare l’agonia o levargli la croce dalle spalle. Il resto appartiene ai sensi di colpa che traumatizzano il malcapitato, rammentandogli quanto sarebbe stato meglio provare con l’odiato posto in banca, dopo l’ottimo diploma al liceo. Già che ci sei, la prossima volta che leggi un bravo giornalista, ricorda che, da ragazzo, era un sognatore e voleva bene agli altri. Ed era convinto che gli altri condividessero il suo ideale di amore e giustizia. Troppo tardi si è accorto delle risate, degli sfottò e dell’abisso. Troppo tardi ha capito che il precariato dei giornalisti non è un accidente, è un’alchimia della politica per controllarli e tenerli alla catena. Eppure, nonostante tutto – con l’aiuto di qualche capitano coraggioso che pure c’è – tentiamo di spezzare il cerchio di fuoco. Anche se spesso stiamo malissimo.
Già, ma come finisce la storia di Borodin? Ecco, finisce così.
Riusciva a dormire solo mettendosi
un pezzo di stoffa scura sopra gli occhi;
nel 1887 partecipò a un ballo
all’Accademia di medicina
indossando un allegro costume nazionale;
sembrava finalmente di un’insolita gaiezza
e quando cadde sul pavimento,
pensarono che volesse fare il pagliaccio.
la prossima volta che ascolti Borodin,
ricorda…