La spending review griffata

Giulia Adamo

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Una borsa di Louis Vuitton, 400 euro? Ma finitela, straccioni. Tutti sanno che con quella cifra ci viene al massimo un borsellino. E’ davvero una fortuna che una bella ed elegante signora abbia finalmente spiegato perché le spese pazze dei gruppi parlamentari dell’Ars non sono affatto pazze bensì oculatissime. Perché alla fine i malpensanti dovranno pure ringraziarla quando si scoprirà che lei, Giulia Adamo, ex deputato regionale e sindaco di Marsala, sempiterna vincitrice di ogni tornata elettorale in provincia di Trapani, ci ha fatto addirittura risparmiare.

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Il sindaco di un altro tempo

Il neo sindaco di Trapani, Vito Damiano, si presenta ai ragazzi della sua città dicendo che di mafia è meglio non parlarne più “perché le si dà importanza e poi i giovani si spaventano”.  Tipico caso di concetto imbottito di preconcetti.
Questo guardare oltre senza guardarsi dentro, questa debordante superficialità e questo discettare per assiomi sono atteggiamenti tristemente noti in Sicilia, e non da ieri. Negli anni Sessanta c’erano cardinali che negavamo l’esistenza della mafia mentre saltavano in aria le prime auto imbottite di esplosivo. Il modo più idoneo di fronteggiare cosa nostra era non parlarne: come quei bambini che chiudendo gli occhi credono di non esser più visti.
Il sindaco Damiano è un ex generale dei carabinieri ed è del Pdl, ha quindi tutte le carte in regola per parlare del fenomeno mafioso. Eppure sceglie di non farlo per non turbare i giovani.
Prima o poi qualcuno gli dovrà spiegare che il suo ruolo non è distribuire manciate di reticenza né sollevare calici di qualunquismo, ma gestire la realtà. Non i suoi confini.

Due parole su Arigliano

Due parole, in ritardo, su Nicola Arigliano.
Lo incontrai nella seconda metà degli anni ottanta, in occasione di un festival del jazz, credo organizzato dal Brass Group trapanese.
Io facevo il critico musicale e soprattutto suonavo come un indemoniato. Lui era un tutt’uno con lo swing e mangiava aglio e peperoncino con una disinvoltura che alimentava una sorta di leggenda. Trascorremmo due giorni insieme, durante i quali non mi chiamò mai col mio nome, ma con un soprannome che si era inventato per me: rock’n roll.
Qualcuno disse di lui che aveva un carattere un po’ spigoloso. Io lo ricordo come l’anziano più giovane con cui abbia mai discusso di scale pentatoniche, accordi di settima (lui ne era un tifoso e io, modestamente, pure) e pesto alla trapanese (altra passione comune).
Non so quanto abbiano influito sulla sua longevità gli antiossidanti dell’alimentazione e quanto quelli della musica. Di certo il risultato è stato unico.