Il delitto di abitudine

Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Esiste il delitto di abitudine? Sì ed è una sorta di crimine sociale che comporta l’azzeramento degli anticorpi per le ingiustizie, l’annullamento della capacità di indignazione.
Prendete quello che sta accadendo a Palermo nell’area tra via Roma, piazza San Domenico, la Cala e il mercato della Vucciria (…). C’è un ristorante che si chiama Santandrea i cui titolari non pagano il pizzo e non si piegano alle regole violente del quartiere. Un quartiere dove, tanto per dire, in passato i commercianti si sono alleati con i posteggiatori abusivi e per opporsi all’isola pedonale di piazza San Domenico hanno pensato bene di prendere a mazzate panchine e vasi del Comune: insomma gente pratica che non perde tempo in quisquilie democratiche.
Da tempo il Santandrea è vittima di attentati: attak nei lucchetti, danneggiamenti, persino il fuoco davanti alla porta d’ingresso coi clienti che scappano scortati dalla polizia. Roba da film, mica da città europea.
Ora i proprietari hanno deciso di mollare e di andarsene senza che nessuno si sia preoccupato di trattenerli, incoraggiarli, tendergli una mano (possibilmente disarmata). Perché? Perché non fanno parte di nessuna consorteria politica alla moda. O perché la grancassa dell’antimafia si è sfondata, dopo essere stata suonata con sgraziata imperizia. O ancora perché questi poveri ristoratori si sono limitati a resistere con compostezza: non paghiamo i mafiosi, grazie e scusate. Ecco, forse è proprio questa serena normalità che li ha fregati, lasciando che fossero travolti da una nuova strisciante emergenza: l’innalzamento dell’indice di distrazione comune.