L’articolo di oggi su la Repubblica.
Sarà che le coincidenze sono le cicatrici del destino. Sarà che coincidenze e destino sono spesso una scusa per non leggere la realtà nella sua crudezza. Sarà probabilmente per tutto questo che la storia dell’evasione dell’assassino albanese Valentin Frrokaj dal carcere dei Pagliarelli di Palermo dovrebbe procurare indignazione collettiva e invece, come una barzelletta sussurrata durante un funerale, può suscitare una risata malcelata di cui vergognarsi.
Perché un ergastolano che fugge è un caso. Un ergastolano che fugge di nuovo è un casino. Ma non basta: nella nostra oziosa lettura dei fatti, abituati come siamo a guardare lontano e a diffidare di ciò che è immediato, ci siamo dimenticati di mettere a fuoco quel che sta sotto i nostri occhi. E cioè una fuga in pieno giorno, da un carcere nuovo, con uno dei due agenti di custodia che se ne va al cesso, e tre ostacoli (un muro di tre metri e mezzo, un cancello, un muro di cinta di oltre sette metri) che questo Valentin ha saltato a mani nude con l’aiuto di una fune di lenzuoli.
Da ex freeclimber sarei tentato di rimanere stupito per l’atto ginnico dell’evaso, ma la ragione mi impone di concentrarmi sull’atto fisiologico del secondino. Perché al netto di tutte le analisi e dei tecnicismi investigativi, la realtà ci dice che nell’anno 2014, al Pagliarelli, una pipì mette in crisi un intero sistema di sicurezza. I sindacati (naturalmente) tuonano “siamo troppo pochi”, chiamano in causa il ministro, il Dap e “le politiche sbagliate degli ultimi anni”. Inutile sperare che ci scappi una lettura smaliziata delle conseguenze di quel destino fatto di lenzuola arrotolate. Il cesso è probabilmente l’alibi perfetto.