Riassunto delle serie tv precedenti

Riassunto delle serie tv precedenti.
Partiamo dalla più recente. “1899” nata dai creatori di “Dark” è un guazzabuglio di generi: fantascienza, mystery, horror, storico e quello che volete. Da qualunque parti la si guardi è una serie talmente complicata (e a mio parere astrusa) da stordire coi suoi effetti e le sue continue virate. Insomma un continuo succedersi di punti interrogativi che alla fine oscurano la vista. Se avete di meglio da guardare, andate oltre.

“Babylon Berlin”, al contrario, è un prodotto di altissimo livello, molto raffinato, con un reticolo di storie magicamente intrecciato e soprattutto con un garbo geniale che fa della sua musica qualcosa di unico: in un paio di occasioni sono tornato indietro per rivedere e riascoltare…

Segnalo “Wanna” su Netflix, errori e orrori di Wanna Marchi, figlia e clan. Come prodotto italiano è ben girato. Notevole il montaggio.

Di “Better Call Saul” vi ho detto.

Su Raiplay una perla: “Tortora, storia di un’ingiustizia”. Una breve (fin troppo) trattazione del caso più eclatante di cialtronismo giudiziario italiano. Una rara accozzaglia di pm, giudici, pentiti e giornalisti lestofanti inchioda un giornalista e uomo di forte impatto televisivo a un’accusa palesemente falsa. Alla fine nessuno di loro pagherà (come accade spesso, vedi depistaggio Borsellino) e il povero Tortora ne uscirà devastato nell’immagine e nel fisico. Bella e toccante la testimonianza dell’avvocato Della Valle, un gigante di umanità in mezzo a nani del diritto con varie inclinazioni criminali.
Da vedere e far vedere nonostante l’improponibile app di Raiplay.

Infine ammetto di esser stato catturato da “The Blacklist” che è, per intenderci, un “24” all’ennesima potenza. In più Raymond Red Reddington non è Jack Bauer poiché ha più di due espressioni e, soprattutto, è credibile nella sua incosciente risolutezza. L’attore che gli dà vita, James Spader, è nella mia classifica nella top fine dei personaggi più incisivi e “contagiosi” visti in una serie tv.
Insomma, se avete bisogno di svuotare il cervello, o di diluire lo stress, o semplicemente di divertirvi col male assoluto che per magia diventa gioco ammaliante (senza faticose perversioni), questa serie può esservi utile.

La quarta stagione di “Stranger Things”, a parte alcune lentezze narrative in cui i personaggi cercano un approfondimento soggettivo che non meritano perché sono essi stessi figli di un divenire corale, l’ho trovata geniale (come le altre). In questa serie la materia più grossolana – mostri, terrore, fine del mondo, splatter senza confini – è maneggiata con una grazia e un mestiere ammirevoli. Del resto solo una mente geniale (anzi, in questo caso, due) poteva immaginare che per salvare il mondo ci si potesse aggrappare a una canzone non indimenticabile di 37 anni fa. E che i giochi, a disco fermo, potessero riprendere con chissà quale ripescaggio musicale (a questo proposito andatevi a rivedere il finale della terza stagione con un “Neverending story” memorabile per chi ama leggere, ascoltare, scrivere, sognare, stupirsi).

P.S.
L’immagine di questo post è dedicata a quella che per me è la serie più bella e determinante in assoluto.