Dobbiamo essere davvero alla frutta se siamo costretti a pesare, a esaminare persino reazioni disperate ed estemporanee come quelle degli abitanti di Viareggio che ieri hanno fischiato il premier Berlusconi al suo arrivo nei luoghi della tragedia.
Sì, alla frutta ci siamo. Il guaio è che non ci siamo arrivati dopo un lauto pasto, bensì dopo una lunga pena.
Il trarre speranza da un’isolata protesta- seppur inquadrata in un ambito di dolore e disperazione – è un modo come un altro per inventarsi un sussulto che rompa l’incantesimo della paralisi collettiva, per illudersi che ci siano sempre un dritto e un rovescio.
La contestazione del monarca a Viareggio potrebbe essere uno spartiacque tra ciò che è stato raccontato e ciò che è. L’idea che le emergenze debbano unire il popolo sotto un’unica spada è tipicamente americana: in Italia le emergenze hanno unito, al massimo, i portafogli di quattro corrotti.
E’ possibile che una fetta di popolazione (mi auguro sempre più ampia) decida che non vuol farsi consolare, assistere, guidare, rincretinire da un personaggio che ha pochi argomenti al di sopra della cintola. Ed è possibile che, nei momenti di difficoltà, venga fuori quel colpo di reni collettivo che serve per mettere l’Italia nelle mani di una persona autorevole, sobria, pulita, sincera. Tutto ciò che non è Silvio Berlusconi.
Nella foto, il dolore di Silvio Berlusconi dopo aver appreso la notizia dell’esplosione alla stazione di Viareggio.