Stalli e stallieri

La polemica politica, in questo momento storico, ha connotazioni da esplorare. La storia ci insegna che esistono strapiombi e strapuntini. Qui siamo al punto che chi sta sullo strapuntino vuole discettare sul destino di chi sta sullo strapiombo.

Brevemente. Piaccia o non piaccia Conte e il suo governo, chi lo critica ora con un Paese alle prese con la più grave crisi della sua storia, immagina una svolta politica a breve? Tipo elezioni? Sapete quanto costa una tornata elettorale? Forse no, ma sapete di certo che è inutile immaginare una tornata elettorale con le prescrizioni sanitarie attuali. Quindi, fuffa a parte, siamo nell’iperuranio della sensibilità politica. In guerra non si perde tempo con beghe di quartiere, non ci si trastulla con le menate, ci si schiera nel segno di un obiettivo comune. Se fossero esistiti i social network ai tempi della Seconda Guerra Mondiale probabilmente lo sbarco in Normandia sarebbe fallito per colpa del coglionazzo telefonomunito di turno e saremmo tutti in un mondo tipo quello di The Man in the High Castle, senza la via d’uscita dei film 8 mm (chi non capisce il senso di questa frase ha quattro giorni di tempo per allinearsi) .

La politica in questa fase ha una prova ardua da superare: rendersi credibile una volta per tutte. Materializzarsi in quello che dovrebbe essere sin dall’alba dei tempi il bene dei cittadini. Il momento drammatico nel quale ci troviamo è un banco di prova poiché mette i partiti dinanzi alla responsabilità più grande, quella di saper rinunciare agli steccati, all’interesse di orticello. Complicato per un sistema in cui, da decenni, ci sono formazioni politiche nate solo per interessi di fattorie, fattori e… stallieri.   

E poi l’Europa, il sindacato… le entità più impalpabili che esistano. Tirarle in ballo quando si parla di emergenze reali significa voler diluire le responsabilità. Ci dimentichiamo che sino a qualche mese fa il nostro precedente governo sputava in faccia all’Europa, invocava confini e divisioni, rideva e si faceva ridere dietro nello scenario internazionale. Improvvisamente, quando abbiamo le pezze al culo, ci riscopriamo europeisti. Quanto al sindacato, stasera ho visto in tv Landini che esortava il Governo “a costruire un’unità del Paese”, mentre nessuno sommessamente gli chiedeva conto del fatto che, in regime di emergenza, sono le parti sociali a dover fare un passo avanti in tal senso, non il contrario. È la storia, è il buon senso e quel che ne rimarrà.

Licenza di licenziare

Nella manovra economica del nongoverno Berlusconi spunta la libertà di licenziare. In un momento in cui bisognerebbe inseguire, scovare, perorare l’unità del Paese per uscire dalla più pericolosa crisi finanziaria dei tempi moderni, l’idea geniale è stata invece quella di disgregare il corpo sociale, mirare al cuore del sindacato, fare l’occhiolino agli industriali (che peraltro hanno già mandato a quel paese il premier e la sua cofanata di bugie).
E’ come se per risollevare il mio bilancio familiare, io facessi perdere il lavoro al garzone del salumiere sotto casa.
Segno dei tempi. La differenza tra una carognata e una scelta strategica è quasi invisibile quando ci si muove nel torbido.