Anche senza il battesimo ufficiale dei dati, Nello Musumeci è il nuovo governatore della Sicilia. E quindi, per dirla all’americana, è il mio governatore anche se non l’ho votato.
Aspetto di essere stupito, adesso. Lo slogan promette una Sicilia che “diventerà bellissima”, io nel titolo mi sono permesso di aggiungere un punto interrogativo. Che comunque sono pronto a togliere – e spero di farlo presto – laddove i fatti mi imponessero un ottimismo urgente.
Musumeci ha davanti a sé una macchina regionale disastrata e oggetto di (giustificato) scherno, paralizzata da un crocettismo tutto nomine e paillettes. Ci vuole poco per rimetterla in moto. Nel senso che davanti al deserto anche un fiore di campo è un simbolo di progresso.
Musumeci ha anche una compagnia non proprio esemplare. Senza fare nomi, coi nani e le ballerine ha saputo (?) governare solo Berlusconi. Lui dovrà muoversi quanto più autonomamente possibile rispetto a certi personaggi-totem del suo schieramento che sono e rimarranno oggettivamente impresentabili. Dovrà alzare le antenne e fare quello che i suoi predecessori non hanno saputo fare: ascoltare, ascoltare, ascoltare. Non gli alleati, bensì i suoi datori di lavoro: cioè tutti noi, belli o brutti, bianchi o chissà, destri o mancini, giovani o clonati, androidisti o devoti al dio Apple, precari o stabilizzati, pubblici o privati, omo o etero, jazzisti o rockettari.
Nell’epoca dell’odio a costo zero dovrà disseppellire la più antica arma della politica che è la mediazione. Non a caso i grillini la detestano, se la usassero si ritroverebbero nudi poiché la mediazione comporta conoscenza, lungimiranza, senso di realtà.
E poi la cosa più importante. Un governatore che viene dalla destra (abbastanza destra) può stravolgere il senso di prospettiva di chi lo guarda con scetticismo dal balcone lontano e opposto.
Si batta per il nostro vero unico tesoro e per la sua tutela: la diversità.
C’è stata una Sicilia omologata e umiliata. Quella dei balletti di “chi non salta comunista è”, quella delle assunzioni a raffica, quella dei contributi a pioggia, quella dei rubinetti scambiati per dighe e quella delle amanti da piazzare a ogni costo (a mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar…). Ora è l’ora di un riscatto del merito, che segnerebbe anche un riscatto ben maggiore. Cioè del trionfo della diversità come premio per la vera ricchezza: culturale, religiosa e perché no? economica.
Basta con le sagre, via ai festival veri. Basta con privilegi, via ai premi. Basta con i sì centellinati, via ai no motivati. Basta coi dilettanti al posto dei professionisti, via ai professionisti che insegnano ai dilettanti. Basta con gli amici degli amici, via agli amici dei nemici se sono bravi o sennò vaffanculo con trasparente motivazione.
Utopia?
Domanda oziosa.
Diventerà bellissima?
Domanda pertinente.