Piccole cose di pessimo gusto

calze
di Raffaella Catalano

Suppongo che a tutti noi piaccia qualcosa di inconfessabile. Niente che sia passibile di condanna, non intendo questo. Qualcosa, dico, che non si confà ai nostri gusti, alla nostra età, forse anche al nostro ruolo, eppure stranamente ci attrae e siamo costretti ad amarla in silenzio, temendo di perdere la faccia. Magari è una stupidaggine, una cosa infantile, per nulla intelligente o poco raffinata, ma se la facciamo, la vediamo, la sentiamo o la mangiamo ci cambia in meglio la giornata. Però se qualcuno ci sorprendesse a farla, vederla, sentirla o mangiarla, desidereremmo sparire dalla faccia della terra per l’imbarazzo. Per capirci: una volta un amico mi chiese di citargli una canzone che mi piaceva ma che non avrei mai ammesso pubblicamente di adorare. Sussurrando, memore di avere (all’epoca) ben trentanove anni, dissi “50 Special” dei Lunapop. Lo so, è terribile, ma che ci posso fare? Mi mette allegria, mi fa fare pace col mondo. Lui, quarantenne come me e serio professionista, mi confidò anche di peggio: sbavava per “Felicità” di Al Bano e Romina.
A Palermo si chiamano “tasciate”. Piccole cose di pessimo gusto, per dirla con Guido Gozzano.
Visto che ho deciso di fare coming out, ecco un elenco di quello che mi piace di “tascio” e che finora è rimasto inconfessato:
–    il film “Grease”, rigurgito adolescenziale che avrò visto venti volte e ancora vedo;
–    le parigine (le calze che arrivano appena sopra il ginocchio, per chi non le conoscesse, ma da non confondere con le autoreggenti), che compro e trovo irresistibilmente sexy anche se non ho più diciott’anni;
–    i pigiami con orsetti, cuoricini e altre cazzate (quando dormo da sola, of course!), che scaldano il corpo e l’anima;
–    la brioche con le patatine Pai dentro, merenda improponibile anche per una festa delle scuole medie;
–    tutte le canzoni di Cesare Cremonini, perché da “50 Special” non mi sono più ripresa.
Ecco cosa intendo: uno sputtanamento ingenuo e genuino, che propongo anche a voi.

Casi politici e casi clinici

Credevo che nella politica italiana ci fosse solo un caso clinico (riguarda un noto personaggio che si crede il Creatore, ma che non si fa ancora chiamare Dio solo perché, essendo il nome troppo corto, non riuscirebbe ad ottenere un risalto adeguato nei titoli dei giornali).
Invece c’è un altro caso disperato: quello dell’unico presidente autoproclamatosi contro il volere dell’intero pianeta terra e senza nemmeno essersi preso la briga di architettare un golpe (la parola golpe, nel suo dizionario da patatine Pai, non esiste in quanto considerata un refuso).
Quest’uomo è Riccardo Villari.
Il capo della commissione di vigilanza Rai resiste allo scioglimento ordinato dai presidenti di Camera e Senato annunciando ricorsi e resistenza passiva, tipo cagnolino che si ribella al guinzaglio del padrone.
Siamo entrati in un’altra epoca, ormai. Dopo la lottizzazione delle assunzioni assistiamo ad una lottizzazione monoteista, in cui è il vertice supremo che si autoimpone per vocazione, illuminazione. Che gliene frega del resto?
E stavolta i partiti non c’entrano. Un Villari è troppo persino per il Centrodestra (il Centrosinistra in tal senso ha già dato…).
L’unico posto che questo poltronista da Trofeo Attack merita, ad essere benevolenti, è quello in una clinica. Con le sbarre alle finestre.