Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.
Doveva essere diluvio e invece fu profluvio. Niente acqua, ma risatine e qualche polemica. La tempesta annunciata su Palermo, con conseguenti allarme rosso, fifa nera e notte in bianco, alla fine non ha prodotto solo una vacanza forzata degli studenti, ma ha messo in evidenza il singolare dilemma culturale tra catastrofisti insoddisfatti e ottimisti delusi: categorie sideralmente lontane ma accomunate qui da un broncio sociale, pubblico e ostentato. I primi, armati di cellulari e telecamere, erano pronti a calare su Mondello per riprendere i consueti geyser di acqua di fogna in viale Venere o le onde melmose che insidiano l’hotel Palace, non dal lato mare ma da quella che dovrebbe essere terraferma. Invece sono rimasti a becco asciutto, incazzati come solo un catastrofista in crisi di astinenza da disastro può essere. Gli altri, gli ottimisti, sognavano una congerie di interventi spettacolari che finalmente avrebbe mostrato al mondo una Palermo che nelle emergenze non affonda, ma anzi reagisce e domina: tutto era nelle mani del Coc, che non è un colpo di tosse, ma il Centro operativo comunale, un trust di cervelli riunito attorno al comandante della polizia municipale (…). E anche agli ottimisti si è spento il sorriso: non una rivincita da celebrare, non una pagina Facebook da imbastire (tipo: “La primavera di Palermo se ne infischia dell’autunno”).
Alla fine il cielo ha beffato tutti tranne quei poveri disillusi che, parafrasando Galbraith, si erano trincerati per tempo dietro la certezza che ormai l’unica funzione delle previsioni meteorologiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia. Gli altri nell’umana necessità di trovare un colpevole – perché un falso allarme è comunque un delitto contro le aspettative – hanno convenuto amichevolmente di identificarlo nel governo, ladro comunque. Che piova o no.